Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Lo straniero del palazzo del re

Lettere da Bisanzio

20/05/1999 Silvia Ronchey

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Avvenire

L’occhio fresco, straniero, vede più e meglio degli altri I diari degli stranieri di passaggio so­no le fonti migliori per rappre­sentarci Costantinopoli e il suo mondo negli anni prima della caduta. È una Città Morta, o morente, veramente decadente, quella descritta midiarmdi un viaggiatore quat­trocentesco, un nobile andaluso di ventisette an­ni Pero Tafur, che in suo Grand Tour ante litteram approdò alla Terza Roma nel 1437, alla ricerca di sue presunte radici genealogiche.
Ricevuto dal basileus, Pero Tafur dirà di es­sere venuto «per apprendere la verità riguar­do al mio lignaggio, il quale, mi era stato detto, proveniva da quel luogo e dal suo imperiale sangue». Non è del tutto chiaro, in verità, se Pe­ro Tafur realmente pensasse di discendere dai Paleologhi o se vantare presunti avi bizantini fosse un sistema per ottenere pronta udienza a corte. Agli europei era nota l’ansia dei bizanti­ni di stringere legami e ottenere ospitalità al­l’estero. Giovanni VII aveva cercato di vende­re ai reggenti di Carlo VI di Valois i suoi dirit­ti di successione al trono di Costantinopoli in cambio di un castello nella campagna francese e di una rendita annuale, tutto sommato mo­desta, di cinquemila fiorini: come rivela un do­cumento pubblicato all’i­nizio del secolo da Spyridion Lampros.
Nel corso del suo lungo e privi­legiato viaggio di formazione, Pero Tafur era stato a Roma e in Pale­stina, sul monte Sinai, nei domìni del bey d’Egitto, nelle isole genovesi e veneziane dell’Egeo, In seguito fu alla corte del sultano a Adrianopoli, in quella dei Comnenia Trebisonda, presso i mercanti di Caffa in Crimea. Sulla via del ritorno visitò la Mitteleuropa - Praga, Vienna, Buda - e il mondo tedesco e fiammingo.
Laico, uomo di mondo e d’azione, in seguito anche uomo di governo nella sua città, Cordova, Pero Tafur era arrivato a Costantinopoli per mare costeggiando la Marmara da Gallipoli.
Confuso dal sonno, nella nebbia mattutina, al suo in­gresso nel Bosforo aveva preso Santo Sofìa per una montagna. In seguito andò a caccia con Giovan­ni VIII Paleologo e con l’imperatrice Maria Comnena di Trebisonda, uc­cidendo «molte lepri e pernici e francolini e fagiani, che in quelle terre abbondano».
Soprattutto, Pero Tafur visitò Co­stantinopoli con una guida eccezionale: il fratello del basileus, Costantino Dragasse, allora despota di Morea, che fu in seguito l’ultimo impe­ratore di Bisanzio. Anche per questo la descri­zione della Città Morente è particolarmente pre­ziosa: oltre al consueto giro archeologico-religioso - Santa Sofia con le sue reliquie, la colon­na di Costantino, Santa Maria delle Blacherne, la chiesa del Pantokrator, l’Ippodromo con la co­lonna serpentina, l’obelisco dell'Ippodromo - Pero Tafur visitò il palazzo imperiale, «che in passato doveva essere magnifi­co, ma ora è in uno stato pieto­so, e come il resto della città mostra bene la disgrazia che i gre­ci hanno sofferto e soffrono».
Non era migliore lo stato in cui trovò la fa­mosa biblioteca imperiale, che visitò, unico occi­dentale, insieme ai «penetrali del sacro palazzo» - gli appartamenti privati dei basileis – sedici anni prima che venisse distrutta dai turchi insie­me al suo tesoro di antichi manoscritti. È l’ulti­ma notizia che ne abbiamo: «All’ingresso del pa­lazzo, varcate alcune sale, vi è una loggia aper­ta di marmo con sedili di pietra tutt’intorno, e di fronte a queste pietre, l’una accanto all’altra, del­le altre pietre sostenute da basse colonne, a mo’ di tavoli. Qui si trovano molti libri e antiche scrit­ture e storie, e in un angolo vi sono molto scac­chiere, ma per il resto la casa è trascuratissima, salvo certi appartamenti, peraltro angusti dove vivono l’imperatore, l’imperatrice e i loro atten­denti. Però la posizione dell'imperatore è splen­dida come sempre, perché nulla è omesso dell’antico cerimoniale, ma tutto è puntigliosamente osservato».


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