A Bose si analizza la guerra interiore
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Lo stato di natura coincide con lo stato di guerra, diceva Hobbes. E già, in forma diversa, i filosofi antichi. E già quelli cristiani e, prima ancora, i loro libri sacri. Ma la guerra esterna, dell’uomo contro l’altro uomo, è solo una proiezione di quella permanente che l’essere umano ha dentro di sé e combatte contro di sé. E’ un combattimento che non appartiene alla sfera dell’io, che non ha origine nella psiche conscia. Solo a volte affiora alla coscienza razionale e si fa tormento intellettuale, ma appartiene comunque a un recesso dell’anima che se ne sta al fondo, ed è sempre in conflitto, altrove se può, e quando trapassa nella coscienza attraverso la membrana osmotica che lo separa da lei arriva in forme incomprensibili e già trasformato. Non si congiunge mai, se mai cerca la disgiunzione. E’ menzognero e “doppio” (dípsychos, secondo la Scrittura cristiana). Cosicché è quasi un controsenso parlarne, perché è per definizione indicibile.
A seconda della visione del mondo che si professa, lo si può chiamare Es, con linguaggio psicanalitico, o cuore, come fa la Bibbia (lev, kardía), riferendosi a quel “luogo impenetrabile” cantato dai Salmi (64,7), sinonimo di “profondo”. Si può anche chiamarlo spirito, includendo, dell’anima, entrambi i livelli. Quella lotta allora si chiamerà, come hanno fatto per secoli i Padri, lotta spirituale. E si comprenderà che accettarla e volgerla al bene — attraverso l’introspezione e lo studio, ma soprattutto ciò che già gli asceti bizantini chiamavano il rinnegamento di sé — è forse l’atto fondamentale che definisce l’essere umano.
A questo atto è dedicato il XVII Convegno Ecumenico Internazionale di Spiritualità Ortodossa (“La lotta spirituale nella tradizione ortodossa”, 9-13 settembre), che si è aperto questa mattina a Bose alla presenza dei più alti prelati delle chiese d’oriente e d’occidente, di teologi e studiosi di 21 paesi, di monaci e monache di monasteri ortodossi (Grecia, Russia, Serbia, Bulgaria, Romania, Monte Sinai, Georgia, Armenia), cattolici e riformati (Belgio, Francia, Italia, Svizzera, Ungheria).
Il cuore è “il luogo della lotta invisibile” che domina la natura umana, uno “spazio che sfugge al rigore dei concetti, ma che è penetrabile attraverso il linguaggio simbolico”, spiega Enzo Bianchi. Se “l’istinto (jezer) del cuore umano è incline al male fin dall’infanzia” secondo il Genesi, l’immagine della vita cristiana come battaglia, come impegno militare risale alle parole di Paolo, come ricorda anche il nuovo patriarca di Mosca Kiril nel suo messaggio di apertura, in cui cita le parole sconsolate di Solov’ev sulla modernità: “Un tempo in cui Cristo regna sul mondo, ma non ancora nel mondo”, poiché “nel mondo contemporaneo si spaccia il nero per bianco, la menzogna si traveste di verità”.
Qual è la ricetta per trovare, se non la pace, almeno la tregua, dentro e fuori di sé? Anzitutto — e questo non vale solo per i cristiani — non bisogna amare il mondo. “Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è mondano, la voracità della carne, la pretesa degli occhi e l’arroganza della vita non viene dal Padre, ma dal mondo”, è scritto nella 1Gv e ricorda sempre Enzo Bianchi. Tre atteggiamenti che ci ricordano da vicino la nostra attualità, dominata dall’ossessione carnale, dalla schiavitù quasi idolatrica all’immagine mediatica e dall’arroganza con cui vengono affermati gli stili di vita, qualunque siano: “L’arroganza della vita (alazoneía toû bíou)”, come spiega Bianchi, “è l’atteggiamento di chi si considera l’unico metro della realtà, e pretende che il proprio io sia affermato sopra gli altri; è la ricerca del potere, della propria gloria ad ogni costo”.
In un momento come questo, in cui all’interno della Chiesa stessa il conflitto interiore dell’individuo tracima e sconfina in lotta esterna, in guerra politica se non militare, gli interrogativi che i Padri di Bose si pongono non solo suonano attuali, ma devono assolutamente essere ascoltati.