Silvia Ronchey

Benvenuti nel mio sito personale
  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio

Articoli

  • Noi e gli antichi
  • Noi e Bisanzio
  • James Hillman
  • Religione, teologia, mistica
  • Interviste
  • Attualità e rubriche
Religione, teologia, mistica

Il Libro Rosso di Ildegarda, la donna che volò via dal Medioevo

Mistica, filosofa, poetessa, la badessa di Bingen visse nel XII secolo e illustrò le sue profezie che anticipano Jung

04/06/2016 Silvia Ronchey

Articolo disponibile in PDF

Scarica il pdf (5507 Kbs)

La Repubblica

Simon Pietro disse loro: Maria si allontani da noi, poiché le donne non sono degne della Vita! Gesù disse: ecco, io la trarrò a me per renderla maschio, perché anche lei divenga uno spirito vivo simile a voi maschi. Perché ogni femmina che diventerà maschio entrerà nel Regno dei Cieli». È il capitolo 121 del "Vangelo di Tommaso", il più famoso dei testi gnostici ritrovati nel 1945 a Nag-Hammadi. L'insegnamento lasciato sepolto dal V secolo nell'apocrifo gnostico bizantino riaffiora in uno scenario medievale tedesco.
Siamo all'inizio del XII secolo, in riva al Reno. La monaca benedettina siede davanti a uno scrittoio, sorretta dall'alto schienale di una sedia. È pronta a scrivere o trascrivere qualcosa: tiene in mano l'occorrente, due tavolette di cera nera a due colonne ciascuna. È nera anche la veste claustrale, su cui è drappeggiato un mantello marrone, e le maniche della cotta bianca stringono i polsi che reggono lo stilo. È lei stessa a ritrarsi cosi, nella miniatura in cui la grande ruota del firmamento scintilla di carminio e lapislazzulo, schiac­ciando in basso, in un piccolo ri­quadro illuminato, il minuscolo autoritratto dell'autrice. Il viso è rivolto verso la parte principale del foglio, che la sovrasta con la visione da cui traboccano "squa­me di fuoco lucido", a ferirla «sot­to forma di scintille».
Ildegarda, badessa di Rupertsberg presso Bingen nell'Assia, studiosa di scienze naturali, di medicina e di musica, nonché del­lo pseudo Dionigi Areopagita, scrittrice, compositrice, teurga, drammaturga, era dotata di ta­lenti multiformi e affetta da vio­lenti disturbi. «La forza delle vi­sioni misteriose, segrete e stupe­facenti» la tormentava da quan­do aveva cinque anni. Tacere ciò che vedeva e sapeva le aveva fat­to trascorrere una giovinezza ma­cerata nell'ansia e diventare col tempo sempre più «misera e de­bole, figlia di enormi sofferenze, tormentata da molte e gravi in­fermità corporali», come annota negli incipit dei suoi cosiddetti li­bri profetici, ora tradotti nella raccolta che consegna integral­mente al lettore italiano le sue vi­sioni: lo Scivias, il Liber vitae meritorum e il Liber divinorum ope­rimi (Ildegarda di Bingen, Visio­ni, a cura di Anna Maria Sciacca, prefazione di Enrico dal Covolo, Castelvecchi). Dettate da ima mi­steriosa voce e da lei solo compi­tate, per essere a loro volta tra­scritte con l'aiuto del vecchio mo­naco segretario Volmar, le visio­ni di Ildegarda sono affiancate in due manoscritti - quello di Wiesbaden, perito nell'incendio del 1945 e sopravvissuto solo in co­pia, e quello della Biblioteca Go­vernativa di Lucca, identificato da Tritemio e ancora oggi consul­tabile in originale - dalle formi­dabili esplosioni di forma e colo­re delle miniature, che risalgono all'autrice e illustrano dal vero i paesaggi di una frastagliata geo­grafia dello spirito. Nel nastro po­licromo dell'illustrazione scorro­no incessanti le schegge visive, "appuntite, piccole e grandi", di una tradizione universale, si dila­tano "sfere d'ombra e cerchi di lu­ce", roteano mandala, si serrano labirinti, si schiudono meandri, e le geometrie astratte si popolano di figure ermetiche e di presenze animali. Un bestiario che si è ten­tato invano di interpretare, acco­standolo ora a quello dell'Apocalissi di Giovanni, ora al medioevo fantastico delle cattedrali tede­sche, ora ai bestiari, agli erbari, alle tabulae della tradizione tardoantica, o perfino alle allegorie della Commedia dantesca o al Libro rosso di Jung.
«Nel millecentoquarantunesimo anno dall’Incarnazione di Ge­sù Cristo, quando avevo quaran­tadue anni e sette mesi», si legge nella prefazione allo Scivias, «un globo di fuoco abbacinante, pro­veniente dal cielo aperto, invase tutto il mio cervello e pervase il mio cuore e il mio petto come una fiamma che non ustiona, ma scioglie nel suo calore immenso». Ildegarda udì una voce chiamar­la homo: «L'uomo che ho voluto e ho scosso per mio arbitrio e ca­priccio con meraviglie più grandi dei segreti degli antichi», diceva la voce, «l'ho steso a terra, per­ché non si rialzasse in esaltazio­ne di spirito. Il mondo non ha pro­dotto in lui né gioia né diletto, né progresso nelle cose che gli era­no sue, perché l'ho privato di qualsiasi aggressività e ostinazio­ne, facendolo rimanere timoroso e spaventato, senza alcuna sicurezza di sé, in preda al senso di colpa». Fu così che Ildegarda si consentì di consegnare alle paro­le e alle immagini ciò che fino ad allora non aveva «manifestato a nessuno, ma serbato per tutto il tempo in silenzio». Impiegò dieci anni a trascrivere ciò che in quei «momenti rovinosi del suo cuo­re» lei, uomo, vedeva e sentiva non «secondo l'intelligenza dell’inventio umana e nemmeno secondo la volontà di comporre umanamente, ma secondo il te­nore della parola così come è volu­ta, mostrata, descritta» da un'en­tità più grande e profonda «che sa, vede e dispone ogni cosa nel segreto dei suoi misteri»: secon­do la visione «non del cuore o del­la mente, ma dell'anima», còlta «non in sonno né in estasi», ma «da sveglia, con occhi e orecchie umani», e però ''interiormente", in "luoghi scoperti" dentro di sé. È in questo modo che Ildegarda diventò maschio e realizzò il comandamento gnostico del Van­gelo di Tommaso.
Nel secolo di Federico Barba­rossa, che consigliò e sfidò, e di Bernardo di Chiaravalle, con cui corrispose e che la ammirò, in­gaggiò le gerarchie ecclesiasti­che cattoliche con tale coraggio e tanta abilità da non venirne mai considerata eretica, ma anzi elet­ta a autorità dottrinale e ascolta­ta nei sinodi. Le sue prediche ri­suonavano a Treviri, a Colonia, a Liegi, a Magonza, a Wurzburg, a Metz; i suoi drammi e poemi sa­cri nelle chiese di tutta Europa. Era detta la Sibilla del Reno an­che per la chiaroveggenza che esercitava in politica, quando im­peratori e papi le si rivolgevano a consulto, di persona o nelle lette­re ancora oggi conservate dal suo prezioso epistolario.
La scrittura "maschile" di Ilde­garda è solo uno degli esempi di quella grande e formidabile tra­dizione femminile, fino a poco tempo fa misconosciuta o mar­chiata dal sigillo della pura irra­zionalità, che è la letteratura del­le mistiche. Ildegarda è solo un combattente, anche se indubbia­mente di alto grado, nell'eserci­to di donne colte e sofisticate, dal carattere libero e dalla prosa su­perba, che da Eloisa a Margheri­ta Porete, da Angela da Foligno a Brigida di Svezia, da Caterina da Siena a Maria Maddalena de' Pazzi, da Margherita Maria Alacoque a Veronica Giuliani alle due Terese, d'Avila e di Lisieux, ha sfidato le oppressioni della cultura dominante. Donne che furo­no giudicate anoressiche, isteri­che, forse epilettiche, ma attra­verso le quali l'intelligenza e l'in­dipendenza femminili hanno sfi­dato secoli di oscurità. «È donna chi non ha L’intelletto maschio che sradica dalla sua memoria tutte le passioni, che sono femmi­ne, chi non sa servirsi di quella so­la collera, che è potenza dell'ani­ma distruttrice dei pensieri», aveva scritto nel quarto secolo Evagrio Pontico nelle sue Centu­rie (47). In questo senso, quella delle sante mistiche è il più gran­de esempio, forse, di letteratura autenticamente maschile.

 


  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio


© 2025 Silvia Ronchey, riproduzione vietata.

Facebbok