Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Merton, un asceta a Broadway

Lettere da Bisanzio

15/10/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

«L’inizio più abituale della con­templazione è quello che ha luo­go attraverso un deserto di de­solazione, dove, anche se tu non vedi nulla, non senti nulla, non sai nulla, e sei cosciente solo di una certa ansia e di una certa sofferenza interiore, tuttavia sei attratto e tenuto in questa tene­bra e in questa aridità, perché è il solo posto in cui puoi trovare stabilità e pace. E’ Semi di con­templazione di Thomas Mer­ton, uno degli Asceti Nascosti dei nostri tempi, il giovane mistico che all’inizio della Montagna dalle sette balze vaga nella ne­ra, fumosa New York, «su que­gli autobus che si prendono al­l’angolo di Broadway con la 110° Strada» alla ricerca del De diligendo Deo di San Bernardo: «Ma quando avevo trovato che l'unica copia buona era in lati­no, non l’avevo chiesta».
Deserto in greco si dice éremos, che significa «vuoto». Tra il quarto e il quinto secolo, all’inizio dell’età che chiamiamo bi­zantina, i primi monaci prati­cavano il deserto interiore sce­gliendo quello geografico, l’an­tica Terra Desolata. È stato uno storico marxista, Mazzarino, a paragonare la grande crisi della fine del mondo antico alla nostra presente. Antonioni legge­va i Padri del Deserto quando girava Zabriskie Point. «La nostra» ha scritto Mer­ton «è certamente un’epoca di solitari e di eremiti. Ma il nostro mondo è diverso dal loro. I nostri lacci sono più stretti. Il rischio che corriamo è molto più preoc­cupante». Merton, Father Louis di padre pittore e madre quac­chera, ammiratore di Blake e Pound e di Huxley fi­losofo, postgradua­te di Cambridge, ex ­marxista, trappista a ventisei anni, vuo­le essere personal­mente considerato un Padre del Deser­to. Alla Tebaide di Bisanzio si è sostituito il deserto postnucleare del ventesimo secolo, l’abbazia di Gethsemani, Kentucky, è di­slocata in un altro impero, allo scoccare degli anni Settanta, all’esplodere delle prime atomiche nell’atmosfera, al Lancio dei pri­mi razzi nello spazio. Dopo La montagna dalle set­te balze e Nessun uomo è un’isola la ristampa delle ope­re di Merton da Garzanti, che dagli anni Sessanta le ha in catalogo, si è ora fermata: «Il vantaggio com­merciale non era eccessivo».
Ma è nella Saggezza del de­serto, scelta o «Catena» dei det­ti dei Padri del Deserto bizanti­ni uscita proprio nel 1960 e poi riedita da Guanda, che il tran­sfert fra Bisanzio e il mondo at­tuale viene ammesso aperta­mente. Nello scritto che precede la raccolta, gli accenni all’imperialismo «che impone con la forza deterrente dei cannoni la confusione e l’alienazione» ri­guardano il mondo di Antonio e Serapione e insieme certo l’America della Guerra Fredda. E Merton ci trasporta dalla pro­vincia egiziana degli asceti a quella grande-americana degli sciamani e degli shakers, inter­rogandosi candidamente se «qualche personaggio simile ai Padri del Deserto possa trovar­si fra gli indiani Pueblo o i Navaho»;o, testualmente, definisce gli anacoreti «pionieri in cam­mino».
Pessimista, apocalittico, precursore come nessun altro in questo secolo del lato profondo, spesso sottovalutato, dell’attua­le movimento New Age, Father Louis amò l’Oriente e morì a Bangkok. Lo scorcio della sua esistenza trascorse in un’ascesi influenzata dallo yoga e dallo zen (Mistici e maestri zen, Lo zen e gli uccelli rapaci, Gar­zanti) nella convinzione che quella che chiama la Vita dei Solitari abbia cause comuni e pas­saggi obbligati, come nei deser­ti di Nitria e Sceta, di Tebaide e Calcide, dove muovendo dalle ricche ville dell’Aventino o dalle capanne copte, viaggiando tra le dune da soli o in gruppi, a piedi o su cocchi sormontati da baldacchini, passarono gli enfant gatés delia fine del mondo anti­co, destinati a divenire i primi grandi santi della «Nuova Epo­ca» medievale cristiana: le due Melanie, Paolino da Nola, le cu­gine Paola e Eustachio e il loro grande amico Girolamo.


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