Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Le tisane di Ildegarda

Lettere da Bisanzio

31/12/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

Ildegarda di Bingen, la Si­billa del Reno, era autrice di rappresentazioni e com­posizioni sacre, che risuo­navano nelle chiese di tutt’Europa, di prediche che ripeteva a Treviri, a Colonia, a Magonza. Sul­le rive del grande fiume te­desco, tra le vigne, anda­vano a visitarla contadini e potenti e persino impe­ratori e papi lesi rivolsero a consulto, di persona o nelle lettere conservate dal suo grande e prezioso epi­stolario.
Tanta sapienza per es­sere perdonabile a una donna richiedeva, ai suoi stessi occhi, il sigillo del­l’irrazionalità, della so­prannaturalità o della sensitività. I talenti di Il­degarda nella forma di vi­sioni mistiche ebbero il ri­conoscimento del papa, dei vescovi e di san Bernardo di Chiaravalle, al termine di dispute che investirono tutta l’Europa.
Tra gli esiti delle visio­ni di Ildegarda, dettati di­rettamente dalla divinità alla monastica veggente e da lei solo compitati, come una medium, vi furono an­che le intuizioni e le ricet­te di una medicina aneste­tizzante e dolce, basata sulla relazione ecologica tra l’uomo e la natura e sull’idea alchemica di ma­lattia come rottura del­l’armonia tra corpo e spi­rito: «L’anima è una sinfo­nia. La salute è il supera­mento dell’isolamento».
Questo regime immaginifico ha per indicazione un unico grande morbo, il male di vivere. «Ho ac­cerchiato le rovi­ne del suo cuore per timore che il suo spirito si inalberasse d’or­goglio o vanagloria, e per­ché dalla sua sapienza provasse timore e tremore anziché gioia ed esultan­za».
Le terapie di Ildegarda sono state sperimentate ininterrottamente per qua­si un millennio. Tuttora sono eseguite nelle cliniche ildegardiane del mondo tedesco e da chiunque, per fede nell’i­spirazione divi­na o più spesso per scetticismo verso la comune medicina, abbia attinto al Liber divinorum operum o alla Physica Hildegardis o alle Causae et curae, dalla Pa­trologia latina del Migne o dagli Analecta sacra del Pitra o dal volume 43 del Corpus Christianorum.
Lì si possono leggere le incantevoli ricette della Si­billa del Reno: la minestra del digiunatore o quella di marrobio alla crema, disintossicanti; l’issòpo, «in cui sono nascoste virtù che rendono allegri»; la tisa­na di santoreggia, «che ri­schiara gli occhi dell’uo­mo» dalla tristezza (Pa­trologia Latina, col. 1141 B), o quella di melissa, ro­sa canina e salvia, o il tè di tanacéto, in caso di vera e propria psicosi (Corpus Christianorum p. 168); l’e­lisir di violetta, di peonia, di scolopendrio o anche di gìchero, «nel caso dì una forte malinconia odi un’i­pocondria che duri da me­si»; il vino spento, contro «l’ansia che rende mala­ti», o i celebri «biscottini per i nervi», «che levano ogni amarezza dal tuo cuore, aprono la tua in­telligenza, stimolano i tuoi sensi ottusi e dimi­nuiscono in te gli umori tossici» (PL1139 B).
Infine le pietre preziose e i cristalli: il diaspro co­lor oliva, da accostare al­la bocca e inumidire col fiato caldo; il calcedonio celeste, da portare sulla pelle, un meraviglioso psi­cotonico (PL 1258 A); la sardònica, «da tenere sul ventre nudo e leccare spes­so», contro l’indisciplina (PL 1253 A); il diamante, da lasciar cadere nell’ac­qua che si beve, così chia­mata «acqua di diaman­te» (PL 1262A), la miglior droga contro lo spleen.


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