Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

I pagani, fuori dal coro

Lettere da Bisanzio

17/09/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

Alla fine dei '400, poco dopo la caduta di Bisanzio, l’Elogio del­l’amanuense di Giovanni Tritemio, monaco di Wunburg, esorta gli umanisti a imitare la spregiudicatezza dei greci - «Facevano in modo che ogni cosa det­ta o fatta in modo diverso dal lo­ro venisse tradotta e depositata nelle pubbliche biblioteche». Mentre in genere «l'umana de­bolezza è meno intimorita da ciò che è abituale per la maggio­ranza dei propri simili», i greci invece erano per natura così po­co settari che proprio una volta divenuti cristiani si diedero a co­piare con il più grande entusia­smo i testi pagani cosa peraItro indispensabile, poiché «la conoscenza delle opere pagane - spiega Tritando -, è essenziale pro­prio per comprendere le Sacre Scritture, e i monaci di un tem­po lo sapevano bene».
Platonica, e pagana, è la Bi­blioteca Bizantina per eccellenza, quei mille fantastici codici che Bessarione donò al mona­stero di San Giorgio e poi al Se­nato veneziano, manifesto della Tradizione antica e fonte prima delle conoscenze occidentali mo­derne. In questi giorni l'elleni­smo di Bessarione è stato ricor­dato nel Corso annuale della Fondazione Cini di Venezia, in­sieme a quello del suo maestro, Giorgio Gemisto, capo della scuola platonica di cui Bessarione aveva fatto parte alla cor­te dei dèspoti Paleològhi di Mistrà: la stessa in cui Goethe farà incontrare a Faust la Grecia e Elena (Faust II, vv. 9182 sgg.). L’umanesimo dei greci, l’inin­terrotta serie bizantina di rina­scenze, passò all’Europa i libri come testimoni, da navi e dàrsene, tra il Bosforo e la Laguna.
Cosa sarebbe stato mai il Rinascimento senza l’Homerus Venetus A e B, senza l’Antologia Planudea, senza i manoscritti di Esio­do, Eschilo, Aristofane, Fozio, senza, soprattutto, la rete fitta di testi platonici e neoplatonici di cui è tessuto l’Elenco del lascito bessarionéo alla Marciana.
«Inter graecos latinissimus inter latinos graecissimus»: così Bessarione veniva definito. Par­lare sempre con una voce diver­sa dal gruppo in mezzo a cui ci si trova, non mimetiz­zarsi: una buona regola per intellet­tuali di qualunque epoca, in genere non seguita. Bessarione tra i latini vestiva di nero, colto e prudente Rasputin dei Papi. Ai bizantini decantava l'occidente, le innevate guglie tedesche, le cor­ti rinascimentali, gli amici umanisti, Venezia, che chiamava «seconda Bisanzio», colpito da un 'affinità visiva col mondo bi­zantino, di luci dorate e di acque, che avrebbe commosso anche un altro intellettuale in fuga dalla Bisanzio di questo secolo, Josif Brodskij, oggi sepolto tra i ci­pressi bockliniani dell'isola di San Michele.
Se Bessarione è l’uitimo Bi­zantino, il suo maestro Giorgio Gemisto, che si autodenominò Plétone (gémistos come pléthon in greco sia per «pieno», «stra­pieno», «traboccante») è detto in genere l’Ultimo Pagano (a torto: l’appellativo toccherebbe sem­mai all’allievo, anche se poi di­venuto cardinale). In realtà Ge­misto era, per i suoi contempo­ranei, il Primo: il teorico della nuova religione, che gli ultimi bizantini stavano introducendo nel Mediterraneo.
Riferisce Giorgio di Trebizonda che interpellato su chi avrebbe vinto, se Cristo o Mao­metto, Gemisto disse: «Nessuno dei due, vincerà la religione dei Gentili». La terza (o quarta) re­ligione mediterranea moderna sarebbe stata, se avesse potuto affemarsi, un ritorno alla teologia platonica. L’idea cadde insieme all’impero: in mano ai Turchi o più probabilmente se diamo credito a Braudel, in ma­no alla ragione economica del nascente capitalismo. Se così non fosse stato, la religione pla­tonico-bizantina avrebbe edu­cato l’umanità alla critica, al­l’antidogmatismo, alla tolle­ranza e soprattutto al rispetto per la natura e per i viventi non umani, che il paganesimo poli­teista ha praticato ovunque - dall’antica Grecia olimpica al Giappone shinto - contraria­mente alle nostre religioni do­minanti, monoteiste e antropocentriche.


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