Il pallore sospetto di Fra' Dolcino
"Eretici del Medioevo" di Lorenzo Paolini
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Dai trasgressivi anni ’60 ad oggi è spiegabile il convergere di molta storiografia italiana, variamente debitrice delle Sette ereticali di Gioacchino Volpe, su quel «radicale, effimero tentativo di elidere la storia, la tradizione, le istituzioni, il potere» che furono, o sono considerate, le eresie medievali. Nei secoli l’utopia sociale non prende vie fra loro troppo diverse. Immagine tratta dalla famosa allegoria dei canonici di Orléans, l’albero selvatico che dà il titolo al libro di Paolini porge, se non frutti, propaggini e diramazioni resistenti nelle quali la contestazione politica moderna può variamente riconoscere, quando non un’ascendenza, certo una salda complicità.
Se in effetti l’eresia (dal greco hairesis, diversificazione) è per eccellenza la forma astratta, intellettualistica della contestazione quasi sempre in Occidente, a differenza che a Bisanzio, i suoi obiettivi divengono, prima che teologici, economici e sociali, con risvolti eversivi e dunque cruenti. Questo genere di violenza è talora patologicamente autodistruttivo: dal fanatismo vegetariano e anoressico (Anselmo: «In Francia giudicavano gli eretici soltanto dal pallore del viso») fino al suicidio o uccisione reciproca dei «comunisti» di Monforte, alla morte violenta che si davano i Càtari.
Come l’autore scrive, si è potuto di rado far parlare gli eretici. Nella prospettiva difforme dei contemporanei, dall'XI al XIV secolo, convengono dato storico e diceria satanica, ingenua fabulazione dei cronisti, denigrazione tendenziosa degli inquisitori, a comporre la nuda panoramica testimoniale che il libro ricerca per scelta metodica: una diretta e consecutiva lettura delle fonti, finora privilegio degli studiosi.