Bessarione, l'ultimo bizantino
I rapporti tra il cardinale umanista e i regnanti della caduta di Costantinopoli
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Insieme al suo maestro Giorgio Gemisto Pletone. Bessarione potrebbe definirsi l’Ultimo Bizantino. Un bizantino educato, secondo l'iter tipico, tra l'una e l’altra delle città imperiali superstiti nel primo quarto del Quattrocento: studi grammaticali e religiosi a Trebisonda, retorico-letterari a Costantinopoli, filosofici con Pletone, appunto, a Mistrà. Il cosiddetto ελληνικος βιος non è per lui, come sarebbe stato per gli umanisti, solo un “modo di vita astratto", storicamente e politicamente declinante: è una “vita in senso proprio, l'inizio di una carriera diplomatica e letteraria di intellettuale dalle precide idee politiche. Questa vocazione interrotta, di fatti», dalla caduta dell'Impero si sarebbe poi trasformata, nel patteggiamento anche psicologico con l’Occidente, in una compensativa vocazione filologica e in una quasi patologica bibliofilia.
In una lettera a Michele Apostolis, Bessarione scrive: “Finché la casa comune «di tutti, e di tutti i greci, è rimasta in piedi, io non mi preoccupavo, perché sapevo che le opere che mancano alla mia raccolta, dai Padri della chiesa agli scrittori pagani, si potevano trovare là. Ma quando, ahimè, è crollata, mi è venuto un desiderio enorme di acquistare tutte le opere che esistono...". Le letture ininterrotte, testimoniate dalle traduzioni, dalle annotazioni e dagli scoli inclusi negli acquisti librari costosissimi che formeranno il nucleo della donazione alla Marciana, il transfert Bisanzio-Venezia della seconda identità biografica si possono sicuramente leggere come un'ansia di autorisarcimento, una sorta di riappropriazione attraverso i libri, il mecenatismo e l'organizzazione culturale, di quanto la storia gli aveva sottratto.
Non è possibile capire il suo successivo arrendersi alla ragione politica e religiosa della prima Roma, all'ambivalenza culturale, perfino al bilinguismo, senza capire fino in fondo lo scacco della prima vita orientale di Bessarione alla corte dei Paleologhi. Il Bessarione bizantino era un intellettuale “politico": politikòs i bizantini chiamavano l'uomo di cultura che acquisiva un ruolo a corte scegliendo di impegnarsi così - è una definizione di Michele Psello - per il “bene pubblico”.
Come Manuele II, l'ultimo grande imperatore di Bisanzio, che lasciò il trono proprio nell'anno in cui Bessarione arrivò a Costantinopoli. Bessarione credeva che Bisanzio si trovasse nella più profonda decadenza, ma potesse ancora respingere la minaccia turca con l’aiuto dell'Occidente e del papa. Era un pessimista pragmatico: aderiva alle idee politiche elaborate dalla scuola platonica di Mistrà.
Quest’ultima sosteneva una formula amministrativa limitata e autarchica, che teneva conto del nuovo assetto commerciale del Mediterraneo e del regime finanziario imposto dalle nuove potenze mercantili: Venezia. Genova. Pisa, Ancona, Benevento, Marsiglia. Proponeva inoltre un modello monarchico non più universale, ma piuttosto etnico-nazionale - la lotta al Turco vista come riscatto del genos — e uno stato greco indipendente e ristretto, affine alla città- stato ellenica o in fondo alla signoria italiana quattrocentesca.
Questa concezione laica dello stato nasce in Bessarione come in Pletone dall'ammissione della fine del mondo bizantino vero e proprio ed è assolutamente minoritaria nel panorama delle dottrine politiche tardo bizantine, dominate dal misticismo escatologico e fatalista della chiesa ortodossa. Non solo: è anche, per così dire, esoterica, in qualche modo clandestina, in contraddizione con la linea manifesta di pensiero che tanto Pletone quanto Bessarione preferirono adottare nelle occasioni ufficiali. In queste tornavano a conformarsi al dogma universalista dell'ideologia imperiale.