Silvia Ronchey

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Noi e Bisanzio

Un “eccesso di civiltà”

Bisanzio non era la capitale degli intrighi. Demonizzata per volere dei Papi

28/07/1995 Silvia Ronchey

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La Stampa

Esiste nel greco bizantino la parola «iperciviltà»: cosi definiva se stessa la politeia di Bisanzio, multietnica, sovranazionale, persino sovratemporale nel suo protrar­re ed estendere, per i millenni e a Oriente, la lingua e il pensiero della polis greca, l'eredità politica del­l'impero romano, il sincretismo tardoantico. Nel Libro delle cerimonie, di cui Sellerio ha recentemente pubblicato una scelta, l'im­peratore Costantino Porfirogenito ha descritto un cerimoniale di cor­te più complesso di quello dell'imperatore della Cina. I suoi veli, i suoi riti apparentemente insensati, le sue scene corali, le acclamazioni ritmiche, i cortei dalle centinaia di parasole, le migliaia di sfumature delle tuniche avevano sempre un preciso significato La gerarchia della corte terrena si considerava «enigma e riverbero» di quella escogitata dai filosofi neoplatonici e dai teologi per la corte celeste. Dopo la caduta di Costantinopoli fu mutuata dalle autocrazie mo­derne, clonata da Luigi XIV a Versailles, ricalcata dagli zar e in qual­che modo imitata da Stalin.  La società di Bisanzio era dun­que tanto evoluta da somigliare nel suo «eccesso di civiltà, alla moder­na, ma non certo In quegli aspetti per i quali viene oggi applicata a sproposito la nozione di «bizantini­smo» al nostro mondo politico. E una definizione che deriva da un'immagine di Bisanzio ottocen­tesca, falsa come una scenografia di melodramma. Viene dall'Italietta Umbertina delle Cronache bizantine del Sommaruga, dal dannunzianesimo, da dépliant turistici e miti campanilisti. Soprattutto, la demonizzazione di una Bisanzio capitale dagli intrighi è eredita ec­clesiastica, cattolica, frutto di un'incultura deliberatamente im­posta, in origine, dalla propaganda dei papi contro un impero che dal­l'altra parte del Mediterraneo privò il doro del potere secolare. Fu un tentativo di Stato laico, se pure dominato da un'ideologia ul­traterrena, amministrato secondo il diritto classico, da un élite domi­nante ramificata, educata, cosmo­polita e plurilingue. 
La classe diri­gente di Costantinopoli operava in un Palazzo che aveva archivi im­mensi, una biblioteca di vertiginosa, borgesiana grandezza, un'uni­versità giuridico filosofica che esprimeva i vertici delio Stato: do­ve gli imperatori erano grandi ma­tematici, i consiglieri ai governo avevano talvolta, coma Psello, la carica di «console dai filosofi», Il fi­glie e le amanti degli statisti conoscevano a memoria i versi di Ome­ro e anche l'ultimo segretario sape­va citare alla lettera Platone e Ari­stotele. Sarebbe davvero magnifi­co, sa il nostro mondo politico fosse davvero «bizantino».


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