Silvia Ronchey

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Noi e gli antichi

Quanta stoltezza nel sessantotto

"Che cos'è la tradizione" di Elémire Zolla

09/04/1998 Silvia Ronchey

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Panorama

CHE COS'E LA TRADIZIONE
di Elémire Zolla. Adelphi, 370 pagine. 25 mila lire.

 

Subito dopo il Sessantotto. Elémire Zolla, uno dei nostri in­tellettuali più sofisticati, era «impensierito» - scrive - dalla depravazione circostante, an­nunciata dalla rivoluzione cul­turale cinese e dal suo furore distruttivo delle tradizioni arti­stiche, professionali, universitarie, familiari. Di quel momen­to storico, questo libro provo­cazione, uscito nel 1971 e ora ripubblicato, depreca ancor’og­gi, nella nota introduttiva, «la stoltezza totale». Del resto, fu scritto proprio per «raccattare ciò che poteva parere limpido e fermo» nella nostra stona.
La parola tradizione viene dal latino «tradere», che significa trasmettere. È singolare che dalla stessa radice derivi anche «tradimento»: trasmettere tradizione è anche sempre tradire, a fin di bene, un segreto. Per altro, il vero testo, ci dice Zolla, è un testo occulto, che si tratti degli Oracoli Sibillini o della Bibbia, del Corano o dei Veda, oppure del Non-testo, cioè di quel testo assente che, a partire dal '700, la nostra «civiltà della critica» ha imposto ai moderni, abolendo l'antica «civiltà del commen­to». Così stando le cose, con­vivere con la tradizione signifi­ca, secondo Zolla, frequenta­re il pensiero vivo negli scritti dei morti: Platone o Goethe, Gerolamo o Baudelaire. La lo­ro compagnia è preferibile a quella dei viventi.
La critica del progresso, for­mulata In anni in cui mostrarsi pessimisti comportava il rischio di venir trattati come appestati, la predilezione per l'antichità, per la mistica, per l'Oriente, fan­no di Zolla un precursore del ra­mo nobile del neospiritualismo, che nel suo aspetto più super­ficiale chiamiamo New Age, ma che ha radici profonde nella let­teratura di un nostro Novecen­to «eretico». La cultura oggi do­minante, non più soggiogata dal progressismo, percorsa dai fer­menti critici degli ecologisti e da una controcultura che resta an­ticapitalista, dovrà forse appre­starsi a riscattarlo.


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