Quel gomitolo che avvolse Omero e Kafka
E' uscito un saggio di Gioacchino Chiarini sul mito classico, ma sempre vivo, del labirinto
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Il palazzo di Cnosso, Il castello di Kafka, lo schema degli antichi tornei equestri, il tracciato di Pollicino nella selva. Nelle culture più diverse il labirinto è un modello iniziatico legato all'idea della morte e soprattutto del passaggio a un nuovo stato. Nel seguito del mito che lo riguarda, Dedalo evade dalla prigionia di Minosse provvedendosi di ali. Superare il labirinto significa trapassare a un'altra dimensione; di qui l'impiego del simbolo in ambito esoterico e misterico: il labirinto sulla porta dell'antro della sibilla, le bolge dantesche, Il labirinto degli ermetici e degli alchimisti e così via.
Secondo alcuni studiosi, l'idea del labirinto è in origine quella di una trappola per animali. Perciò una «bestia» è al suo fondo, che sia il Minotauro pagano o il satana cristiano. Nell'ambito del grande rito di passaggio della cristianità, la coreografia a spirale delle antiche danze pasquali è identica a quella della danza labirintica raffigurata sullo scudo di Achille nel diciottesimo dell'Iliade; essa celebra, con la resurrezione del Dio-Logos, la vittoria di Cristo sulla bestia anziché quella di Teseo sul Minotauro.
Dal Medioevo a oggi, la figura del labirinto è stata non solo usata dai letterati, ma applicata allo studio della letteratura. «Fu La confusione del romanzo a suggerirmi che il labirinto fosse il romanzo stesso», ha scritto Borges. Nell’antichistica non è nuova l'interpretazione di testi letterari sub specie labyrinthi: ad esempio Paolo Fedeli ha applicato lo schema del labirinto all'analisi narratologica del Satyricon di Petronio, e in generale al romanzo antico, con le sue «odissee» e peripezie. A maggior ragione, Gioachino Chiarini lo ha applicato all'Odissea stessa – archetipo di quella e forse di ogni letteratura - in un libro (Odisseo: il labirinto marino. Kepos Edizioni, pagg. 176, lire 29.000) limpido e discorsivo, che ha lo spessore e la forza della scoperta.
Riverbero terrestre dell'ordine zodiacale e celeste - la danza degli astri in cielo, quella del labirinto in terra - il labirinto in generale è metafora della ricostituzione dell'ordine perduto, ed è perciò anche una metafora del pensiero umano, del ragionamento logico e del suoi schemi «dedalici»: oscuri cioè a chi ne è preda ma noti all'architetto-artefice. Il labirinto come figura del percorsi dell'intelletto, della razionalità: a prima vista, se apriamo il libro di Chiarini, lo «schema classico» del labirinto cretese a dodici anse (e quello del giardino dell'Oxfordshire o del Trojaburg nordico) ha qualcosa di anatomico, somiglia al calco di un cervello umano. Le Labyrinth-Studien che Kerényi dedicò a Jung. Il Mulino di Amleto di Santillana, il Re del mondo di Guénon sono tra i pochissimi testi citati o allusi in questo libro elegantemente avaro di note, fuori dai nudi rimandi ai luoghi omerici.
Ulisse dal molto errare e dal multiforme ingegno - l'uomo razionale per eccellenza e, insieme, l'uomo che si perde e non sa tornare - è in realtà una fusione delle due figure labirintiche di Dedalo e Teseo. Partendo da questo riconoscimento, Chiarini prova ad adattare lo schema del labirinto agli errores di Odisseo, confronta ogni tappa del percorso marino, ne verifica ogni ansa, per scoprire che la peregrinazione dell'eroe protetto da Apollo - Il dio del Logos recondito e «del percorso giusto» - è ritmata e simbolicamente orientata secondo l'esatto schema del labirinto cretese: uno schema ritmico a movimenti alternati da Oriente a Occidente e da Occidente a Oriente, che riproduce la ritualità e l'astrazione della danza.
Nelle sei tappe connotate come «occidentali» e funeste (Ciconi, Ciclopi, Lestrigoni, Ade, Scilla e Cariddi, Calipso) il simbolismo infero (fonte, grotta, vegetazione) si somma a una costante alienità antropologica (violenza, cannibalismo, mostruosità) e l'azione narrata Incontra un continuo Impedimento (inganno, gorgo, sacrificio, non ritorno).
Bussola e rosa del venti, rotte diurne e notturne, arcipelaghi e approdi nella tortuosa geografia omerica non avrebbero dunque alcun valore reale: sarebbero immaginari, un'arcaica stilizzazione geometrica, e però necessari, recando l'ineluttabilità del simbolo - ben lontani dall'essere sorta di enciclopedia geografica o di manuale di navigazione che per secoli gli omeristi hanno tenuto di ricostruire. Del resto, l'indagine di Chiarini nasce dalla constatazione del fallimento degli studi geografici «positivi» sull'Odissea comparativistici, etnologici, pan-mitologici - di cui il libro critica le testimonianze e rivela i paradossali equivoci.