Muriel che visse tre secoli
Radici nell’Ottocento, sguardo lucido sull’oggi, la Spark ha precorso molte mode: i viaggi, la scrittura, persino la conversione al cattolicesimo. In un modo tutto suo: opposto ai "teocon"
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«Non ci sono più scrittori. Non ne esistono più. O almeno io non ne incontro. E non ci sono idee. Non riesco a vedere nuove idee. O vedo nuove idee che non sono invitanti, che non portano da nessuna pane. Come sarebbe rinfrescante avere un nuovo scrittore!». Muriel Spark ha 87 anni ma si può dire che abbia tre secoli Le sue radici sono nella letteratura ottocentesca, il Novecento lo ha vissuto tutto. Diciottenne, si è trasferita in Africa col primo manto, maestro di scuola. Ha poi viaggiato in tutto il mondo, specialmente in India e nel Medio Oriente. Durante la guerra è entrata nei servizi segreti inglesi. Ha cominciato a scrivere nel 1952. Il grande successo internazionale è arrivato già nel 1961 con Gli anni fulgenti di Miss Brodie, interpretata al cinema da Maggie Smith. Da allora i suoi meravigliosi, implacabili romanzi si sono susseguiti. Il ventiduesimo, Invidia, ha vinto il Premio Elba, ed è qui, in riva al mare di un'isola che la riempie di curiosità napoleoniche, che intervistiamo questo mito vivente, quest'angelica, temutissima donna di mondo oltreché di lettere, sulla letteratura e sul mondo. «Credo che la chiave della mia scrittura sia il fatto di essere riuscita a usare la libertà del ventesimo secolo per esprimere quello che pur essendo al centro della letteratura del diciannovesimo rimaneva inespresso. Il Novecento è il secolo della libertà, e la libertà scioglie la lingua. Ha liberato le grandi energie dell'arte, è stato il secolo delle grandi scoperte. E nello stesso tempo è stato il più atroce della storia dell'umanità. Parlo di atrocità umana».
E il ventunesimo, di cui mostra in Invidia di conoscere così bene le nuove generazioni? Come ha fatto a descrivere così bene il mondo dei teenagers? Quali sono le sue spie?
«Oh, non ho bisogno di spie. Alla mia età si ha abbastanza esperienza del mondo per capire le persone da indizi piccolissimi. Mi basta incrociare un viso, cogliere un frammento di conversazione».
La nostra è un'epoca in cui, come succede ai protagonisti del suo ultimo romanzo, nessuno sa più niente ma tutti vogliono scrivere.
«E nessuno ci riesce più. Oggi la gente ha paura di esprimersi, non ha idea di come farlo»
Perché?
«Vede, la grande libertà del Novecento ha portato due cose: l'istruzione universale nelle università da un lato e dall'altro l'apertura dei confini del mondo».
Allude alla globalizzazione?
«No, a fenomeni avvenuti molto prima: i grandi flussi dell'emigrazione, prima dall'Europa all'America, poi dall'Africa all'Europa; la trasformazione dell'abitudine elitaria al viaggio in spostamenti di massa come il turismo organizzato e il nomadismo giovanile; e tutto quel che ne consegue».
Che cosa ne consegue?
«Uno sradicamento del linguaggio. L'estensione dell'istruzione universitaria in qualche modo avrebbe potuto portare a una migliore scrittura. Ma non è stato cosi, perché di fatto ha sradicato tutti i linguaggi. Non è più disponibile una lingua precisa. E senza la precisione della lingua non c'è scrittura».
E neanche idee?
«Certo, neanche idee. Senza precisione della parola non esiste ragionamento logico: per definizione, visto che in greco "logos" significa sia parola, sia concetto».
Quindi è la libertà ad avere indebolito la scrittura?
«La perdita di precisione della lingua, e quindi del pensiero, nasce dalla caduta dei confini: sia in senso verticale, confini di classe all'interno di una società, sia in senso orizzontale, confini geografici tra una società e l'altra. Comunque non possiamo sapere come andrà a finire, magari rispunterà qualche nuovo scrittore».
Ma nel panorama di oggi non vede veramente nulla?
«No, praticamente più nulla dopo Gabo Marquez e John Updike. E Sciascia. L'ho letto di recente, da quando il mio editore italiano ha cominciato a ripubblicarlo, ed è l'ultima lettura veramente entusiasmante che abbia fatto. Probabilmente è il vostro miglior scrittore del Novecento».
In che senso?
«In senso letterale. Leggendo Una storia semplice sono rabbrividita, ho provato un senso fisico di agghiacciamento. La presenza del male».
Nella sua lunga vita lei ha vissuto nell'antico modo elitario cose oggi diventate status-symbol di massa: scrivere e viaggiare sono le prime due. Ma ce n'è una terza: la conversione al cattolicesimo. Si è accorta che anche questa è diventata una moda? Mentre ai suoi tempi era un'eccentricità da intellettuali anglosassoni raffinati come Graham Greene e Evelyn Waugh.
«Due cari amici. Sa che Evelyn è stato il mio primo recensore? Sarebbe stato così felice del nuovo papa, avrebbe adorato questo delizioso trend reazionario del cattolicesimo. È una moda, dice? Be', sì, i giovani hanno bisogno di uno swing verso una religione più conservatrice, disciplinata e autoritaria. Ci voleva, dopo quel Wojtyla. Un tipo fantastico, certo, un grande attore ma, ammettiamolo, uno che non ha mai detto gran che né ha mostrato di sapere molto della storia della Chiesa. Benedetto, invece, reintrodurrà la messa in latino».
Ne è sicura?
«Certo, i fedeli non capirebbero niente. Ma tanto non capiscono niente lo stesso, no? La messa è mistero comunque. La conversione di Evelyn al cattolicesimo era proprio questo, fascinazione estetica per le chiese, i rituali, l'oscurità del cattolicesimo».
Anche lei si è convertita per questo?
«Oh no, ognuna delle nostre conversioni è stata diversa. Graham Greene, per esempio. Un altro grande amico, sa, è stato lui a permettermi di scrivere mandandomi soldi per anni. Anche quando ormai guadagnavo bene, per farlo smettere gli ho dovuto spedire una lettera. Lui aveva il senso del peccato e dell'espiazione, era questa la chiave del suo cattolicesimo. Se non aveva un peccato mortale di cui pentirsi se ne inventava uno per scriverci su un libro cosi da espiarlo. No. la mia conversione è stata diversa, ispirata, al contrario, a un senso di libertà, e in questo simile se mai a quella di un altro mio amico, l'attore Alee Guinness».
Cioè?
«Per me il cristianesimo è la religione naturale e non vedo perché mai occorra distaccarsi da quello originario, di cui il cattolicesimo mi sembra il discendente naturale: tutto qui. Per me il cristianesimo è libertà, libertà da tutta una serie di complicazioni, e tutto del cristianesimo è vero».
Vuol dire che approva tutto quello che dice la Chiesa?
«Oh no, sono in totale disaccordo con la maggior parte dei suoi insegnamenti. Pensi al controllo delle nascite in Africa. Ma come si fa, è impossibile predicare a un popolo in quelle condizioni di moltiplicarsi! Con quella terribile malattia che hanno, poi. È sbagliatissimo. Una delle cose sbagliate che insegna la Chiesa».
Ne dica un'altra.
«Be', questa campagna per la cosiddetta difesa della vita. Che assurdità. L'aborto dev'essere permesso a tutti i costi, è una libera scelta della madre. E gli esperimenti sulle cellule staminali, certo che devono essere permessi. È carità cristiana cercare di alleviare le sofferenze degli esseri umani, di guarire malattie come l'Alzheimer. E comunque le decisioni in questa sfera devono dipendere esclusivamente dalla donna, visto che riguardano il suo corpo».
Ma sa che la dottrina odierna della Chiesa romana sembra ritenere che il corpo della donna appartenga alla comunità?
«Cosa? Ma è pazzesco! Le dottrine della Chiesa devono avere un fondamento formale, nella Bibbia o nei padri della Chiesa. Mi dispiace, non sapevo che fossero ridotte così le donne in Italia. Proprio oggi, nel momento in cui l’individualità della donna è sempre più evidente. Povere care. Forse mi sono sbagliata, forse questo papa non mi piace e non sarebbe piaciuto neppure a Waugh...».