Daesh e violenza cristiana: quando i fanatici eravamo noi
Articolo disponibile in PDF
Nell'anno 415, Ipazia, medico, matematico e pagana, fu aggredita da un gruppo di cristiani, denudata e lapidata a morte. Una storia che fa riflettere sulla condizione femminile, sul rapporto tra fede e scienza e sulle violenze di un cristianesimo che oggi condanna i taglia gola Daesh.
Alessandria d’Egitto, alla metà di marzo del 415, è teatro di scontri tra cristiani e adepti dei culti pagani. Il loro referente carismatico è una donna intorno ai 45 anni, Ipazia, filosofo neo-platonico, pagana, medico, matematico e astronomo. Sta tornando a casa, quando è aggredita da una folla di cristiani, sembra guidati e aizzati da monaci parabolani, manipolo al servizio del vescovo Cirillo. È su una carrozza: viene costretta a scendere e trascinata in una chiesa. Qui è denudata e aggredita a morte con cocci aguzzi. I resti sono bruciati. Cirillo, vescovo della città, protegge gli autori dell’efferatezza, mancando, in un sermone che evoca l’accaduto, del rispetto dovuto all’avversario, donna inerme e sapiente: “È stata fatta tacere l’Egizia” si rallegra in pubblico, consapevole che, nonostante lo sforzo del prefetto di Alessandria, l’autorità imperiale si asterrà dall’intervenire.
L’egizia, dai suoi colti allievi e amici era abituata a ricevere rispetto a affetto. Sinesio, in una lettera, così a lei faceva riferimento: “Abbraccia per me la venerabilissima e piissima filosofa”, aggiungendo “beato il coro che gode della divina sua voce…”. Altrettanti stima e affetto sembra, dalle testimonianze che la storia ha tramandato, andassero a Ipazia da ogni uomo di scienza e saperi che entrasse in contatto con lei, che aveva avuto la forza (ai suoi tempi!) di contestare le teorie tolemaiche, ritenendole non fondate sul vero. La scuola alessandrina, grazie anche al lascito intellettuale e morale di Ipazia (e di suo padre, e dei loro allievi), con acutezza e libertà di ricerca, avrebbe alimentato il rinascimento italiano ed europeo, in particolare nei settori della geometria piana e solida, trigonometria, algebra, calcolo infinitesimale, astronomia.
Il tragico destino di Ipazia, tenendo anche presente quanto ne scrive Silvia Ronchey in un recente libro, stimola riflessioni molto vicine a questioni con le quali il nostro tempo deve fare i conti.
La prima riguarda la condizione della donna colta e carismatica in società impregnate del potere intellettuale maschile. La sapienza in una donna provoca, con l’ammirazione e la devozione di taluni, meraviglia invidia e maldicenze dei più. Accade oggi, figurarsi milleseicento anni fa!
La seconda considerazione tocca il rapporto tra scienza e fede religiosa: salvo i rari casi nei quali uomo di religione e di scienza coincidono, l’ignoranza fideistica tende a considerare come avversario chi si affidi alla ragione per interpretare il mondo e l’universo. Toccò a Ipazia il destino che spetta ad ogni persona ragionante e ragionevole quando incrocia il fanatismo religioso.
La terza considerazione riguarda l’incapacità di ricordare che i cristiani hanno sì sofferto l’assalto dei pagani e versato il sangue dei martiri, ma quando poi sono stati favoriti dal corso della storia, hanno a loro volta utilizzato la forza per imporre la loro religione, fondando sul cesaropapismo il diritto a percuotere gli adepti di altri riti, i non credenti, gli eretici. Più tardi le nazioni cristiane avrebbero fatto di peggio, attraverso i roghi inquisitori e colonizzazioni equivalenti allo sterminio degli autoctoni. La condanna dei taglia gola Daesh, non autorizza a dimenticare le stragi compiute dalla civilizzazione cristiana. Anatema alle milizie Daesh che abbattono i monumenti del culto preislamico, ma quante opere dell’ingegno pagano sono state distrutte dai proto cristiani?
Cirillo e i suoi monaci istigarono il crimine contro Ipazia. La versione odierna di quel comportamento sta in certi imam, studenti religiosi talebani, ayatollah e guide supreme. C’è da augurarsi che anche questa versione del fanatismo religioso finisca nella spazzatura della storia.