La decadenza
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Cos’è la Decadenza? “Scegliere istintivamente ciò che è nocivo, lasciarsi sedurre da motivazioni non finalizzate”. Lo ha scritto un maledetto del pensiero, Friedrich Nietzsche, nel “Crepuscolo degli idoli”, anno 1888. Ma non è che una definizione fra le tante possibili. Decadenza significa piacere morboso per le bellezze inusuali, ad esempio. Decadenza è il tempo dell’abbandono e il gusto per il dettaglio. Significa edonismo esasperato, estetismo, individualismo estremo. Il “decadente” è attratto da tutto ciò che sa di anticonvenzionale, coltiva la sensualità in ogni suo aspetto, a volte si compiace nella contemplazione del disfacimento e della morte. Si ribella alla morale corrente, è infastidito dall’ovvio, predilige l’artificiale al reale, la parola all’idea. Il decadente vuole vivere e pensare “controcorrente”, “à rebours”, come il titolo del romanzo di Joris-Karl Huysmans, una delle “Bibbie” del decadentismo insieme al dannunziano “Il Piacere” e al “Ritratto di Dorian Gray”.
Il saggio curato da Silvia Ronchey, che raccoglie interventi di storici e filosofi “a tema”, è un’ideale galleria della décadence. Qui trovano posto il mito platonico di Atlantide (anche Platone vive e opera in una decadenza, quella di Atene), il decadentismo europeo di Gabriele D’Annunzio ed Edward F. Benson (la nostalgia e la rielaborazione di temi e personaggi della classicità), la poesia enigmistica dei “secoli bui”. E naturalmente la biblioteca-modello di Des Esseintes (il protagonista di “Controcorrente”), con gli amati scrittori della tarda latinità e i poeti “che riempivano delle loro grida l’impero agonizzante”. Percorsi poco battutti che portano tutti, da diverse prospettive, a quel luogo dello spirito che chiamiamo decadenza. Con qualche sorpresa. Si può ad esempio partire dalla Bisanzio del VI secolo per approdare ai fasti del cinema liberty.
Proprio nel dicembre del 1884, anno fatale del decandentismo, anno della pubblicazione di “À rebours” e del celebre verso di Paul Verlaine “Je suis l’empire à la fin de la décadence” , a Parigi fu rappresentata la “Théodora” di Victorien Sardou. Un “drammone” ambientato a Costantinopoli durante il regno di Giustiniano, con la divina Sarah Bernhardt nella parte dell’imperatrice-prostituta. Un successo strepitoso. Il feuilleton che raccontava dell’ascesa al trono di una dissoluta cortigiana (modello di tutte le successive “femme fatale” della letteratura e del cinema) e la polemica che seguì tra sessuofobici bizantinisti e difensori della scandalosa pièce teatrale, marchieranno per sempre Bisanzio, da lì in poi regno di intrighi e corruzione (ah, gli spregevoli “bizantinismi”!). Una raffinata dissoluzione di cui si invaghirà la sensibilità decadente fin de siècle. Anche il protagonista del film “Teodora” di Leopoldo Carlucci (un classico del “muto liberty”, girato a Torino nel 1922), il “dandy bizantino” Andrea ha qualcosa in comune con l’Andrea Sperelli del “Piacere”.
Ma il libro, spiega Silvia Ronchey, più che della decadenza tratta in fondo dell’antidecadenza, “di quali forme il decadere abbia preso, di come al decadere si sia resistito”. Dalla “voluttà di scendere” si salva insomma qualche “anti”. Come il retore latino Sidonio Apollinare, “militante antidecadente” del V secolo d.C., o lo stesso sant’Agostino. Il Padre della Chiesa che mentre le orde barbariche spingevano Roma verso il disfacimento “cercò di lenire lo smarrimento dell’epoca”, agendo rettamente e insegnando la speranza. Il prototipo dell’antidecadente.