Il guscio della tartaruga
2009
Silvia RoncheyNottetempo
Apuleio, coi “capelli lunghi, spioventi sulla fronte”; Catullo “cosí giovane, cosí provinciale, cosí studioso”; Flaubert, con la sua vestaglia scarlatta, le sue reliquie, il suo divano alla turca su cui fuma meditando la pipa; Ildegarda di Bingen, che a quarantadue anni e sette mesi vede una luce di fuoco proveniente dal cielo, che pervade il suo petto come una fiamma. E poi Agostino, Balzac, Freud, Pitagora, Teresa D’Avila, Voltaire, Zenone...Silvia Ronchey narra le vite di sessantacinque uomini e donne illustri come se li avesse conosciuti intimamente. Che cos’hanno in comune questi personaggi? Un segreto, rivelato in fondo al libro. Così che ognuna potrà leggersi come un bellissimo racconto, un sapiente profilo o una sfida al lettore. Sono vere queste vite? Sono piú che vere: come il guscio di una tartaruga non aderisce al corpo, ma lo ricopre e lo illustra, cosí i ritratti rivestono le esistenze senza combaciare veramente, ma le proteggono e le illuminano di scaglie di saggezza, restituendo loro una marmorea freschezza. (Dalla quarta di copertina)
"L'immagine della tartaruga — avvolta, protetta e insieme ingentilita dal suo guscio — richiama la possibilità insita in ogni corazza: non solo strumento di difesa in guerra, ma anche splendore nel quotidiano, esaltazione della povera esistenza lì racchiusa. Pensare alle persone illustri come scaglie di un coriaceo mosaico che nel corso dei secoli hanno protetto e abbellito il genere umano è un rimando all'arte di cogliere il tutto nel frammento, del valorizzare le tessere di un mosaico che l'occhio può comprendere solo se il cuore è capace di anticipargli la visione dell'insieme." (Enzo Bianchi)
"Silvia Ronchey è una lettrice infaticabile. E forse anche per questo il suo ultimo libro ha un modello principale, la Biblioteca di Fozio. Interferiscono ovviamente anche altri modelli collaterali, tra cui, in tacita ma ben visibile contrapposizione sin dal titolo, le Vite immaginarie di Marcel Schwob." (Luciano Canfora)
"Sessantacinque incantevoli ritratti che nascondono un segreto, rivelato in fondo al libro. Cosí che ognuno di loro potrà leggersi come un bellissimo racconto, un sapiente profilo o una sfida al lettore. Aggirarsi in questo libro significa fare incontri folgoranti con gente che pensavamo di conoscere fin troppo bene, ma ci sbagliavamo. Si veda la vita di Catullo, «il cucciolo» come traduce in modo filologicamente impeccabile l’autrice: dove fra l’altro ci si chiede cosa fosse davvero quel passero di cui la sua fanciulla tanto si deliziava, e si dà una risposta che al liceo non era prevista. Ma la formula è buona anche perché permette di far dialogare fra loro autori che nella vita vera non hanno avuto l’occasione di farlo: così, se per Baudelaire «amare le donne intelligenti è un piacere da pederasta», ecco che André Gide (il quale appunto «fu uno scrittore, un viaggiatore, un memorialista, un pederasta») gli ribatte: «All’uomo è necessaria molta intelligenza per non restare, con uguali qualità morali, sensibilmente inferiore alla donna»." (Alessandro Barbero)
"Le sessantacinque vite accostate per simpatia o per caso da Silvia Ronchey compongono un mosaico-carapace che racconta l’essenziale ma chiede di essere compreso oltre la lettera. Chi lo vorrà, dopo aver risposto a tre indovinelli sul sito di Nottetempo, capirà in che senso." (Nicoletta Tiliacos)
"Il guscio della tartaruga è il segreto di queste vite: è più largo del corpo della tartaruga, lo ricopre, lo adorna, lo protegge, lo nasconde, lo trasporta, lo tramanda. Il guscio è coperto a sua volta da un mosaico di scaglie, che insieme formano la corazza, lo scudo della altrimenti povera esistenza della tartaruga." (Ginevra Bompiani, dalla “Nota dell’editore” )
Altro su questo volume:
Riconoscimenti (1)
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Premio Alziator 2009
Audio e video (2)
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2009 | Radio 24. Un libro tira l'altro. Il guscio della tartaruga
Silvia Ronchey illustra a Salvatore Carrubba il suo ultimo volume “Il guscio della tartaruga”, Nottetempo, 2009. Puntata andata in onda il 6 settembre 2009.
Ascolta online o scarica qui il podcast. (clicca col tasto destro e salva)
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2009 | Nottetempo. Presentazione del volume “Il guscio della tartaruga”
Silvia Ronchey parla del suo libro, Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri.
Stampa (21)
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La Stampa | 30/04/2009 | Chiedi alla tartaruga, Mario Baudino
Siamo proprio sicuri che Gaio Petronio, l’inventore di Trimalcione, l’autore del Satyricon di cui ben poco si sa, sia morto con le vene tagliate ascoltando poesie e versi lascivi? C’è chi dice che non è morto affatto, ma è fuggito con lo schiavo Siro vagando per l’Impero come ciarlatano ambulante, vivendo di pani funerari rubati nei cimiteri. Dobbiamo dare retta a Tacito, a Boris Huysmans oppure alle vite immaginarie di Marcel Schwob? Chiedetelo al carapace, risponde un po’ enigmaticamente Silvia Ronchey, nel nuovo libro (esce oggi per Nottetempo, pp. 241, euro 15,50) che si intitola appunto Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri, ed è basato su un gioco intellettuale che ingloba gli indovinelli e Internet.
È però soprattutto un omaggio ai classici della letteratura, dalla Grecia ai giorni nostri: 65 medaglioni - due si possono leggere a titolo d’esempio qui sotto - per raccontare in poche righe la vita, le opere e i pensieri di Sant’Agostino o Francis Scott Fitzgerald, Ildegarda di Bingen o Epicuro, Nietzsche o Conan Doyle. A proposito del quale va detto che il lettore potrà, se lo desidera, trasformarsi in una specie di Sherlock Holmes. Questi ritratti sono più veri del vero, come suggerisce l’autrice, proprio come il guscio della tartaruga, che non aderisce al corpo ma lo ricopre, lo completa e lo proietta in un reticolo di scaglie. Costruiti con testi degli autori stessi o di qualcuno che, nella tradizione letteraria, ha parlato di loro, non necessariamente con piglio da storico, nascondono perciò mille segreti. E va detto che un classico non lascia molta scelta a chi voglia parlarne in poche righe: o si scrive una voce da dizionario, o lo si ricrea. Silvia Ronchey scelse la seconda opzione per una rubrica che teneva su Tuttolibri della Stampa. L’idea è nata lì.
Il guscio della tartaruga è un libro autonomo, un po’ borgesiano, ma è anche un testo a chiave, perché rimanda a tutto il mondo di parole da cui è nato. Così, da domani, chi vorrà approfondirne i segreti potrà cercare, sul sito di Nottetempo, una risposta a tutte le sue domande. Prima, però, ci saranno tre indovinelli, insomma un passaggio della Sfinge. Il primo è facilissimo, il secondo così così, il terzo potrebbe porre qualche problema (riguarda un dio che non né saggio né sapiente), ma ci si arriva. Il premio è l’interno del guscio, pagine e pagine dove sono riportate tutte le «fonti», le citazioni, la trama di cui sono intessuti i medaglioni.
Potremo così scoprire dove sono i «biscottini per i nervi, che levano ogni amarezza dal tuo cuore» cucinati da Santa Ildegarda di Bingen; o che tipo di mantello indossasse l’amore lontano del trovatore Jaufré Rudel; o ancora, se davvero per Voltaire non ci si doveva preoccupare di nascondere le verità al popolo «perché il popolo non legge affatto: lavora sei giorni la settimana e il settimo va al ristorante». Beato popolo. Non resta che servirlo.
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Il Foglio | 01/05/2009 | Silvia Ronchey racconta storie brevi, du…, Nicoletta Tiliacos
Qual è il filo che lega lo storico Arriano, coevo dell’imperatore Adriano ed emulo ammirato di Senofonte, ad André Gide, che quando scriveva provava “le angosce di un tisico in una stanza troppo angusta”? Se il primo almanaccò attorno al nodo gordiano sciolto, chissà come, da Alessandro, il secondo ebbe il grande torto “di non aver sciolto il nodo gordiano con cui Céleste, la governante di Proust, aveva chiuso il pacco del dattiloscritto del suo padrone per inviarglielo in lettura”.
Vi sembra un nesso arbitrario, un po’ troppo acrobatico? Cambierete idea, se leggerete “Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri”, che la bizantinista Silvia Ronchey ha appena pubblicato per Nottetempo. Attraverso sessantacinque brevi biografie, presentate in ordine alfabetico e nel più assoluto disordine cronologico – dalla A di Agostino fino alla Z di Zenone, passando per il re David e Kerouac, Huxley e Petronio, Platone e Rilke, Saffo e Teresa d’Avila, Stevenson e Terenzio, Virgilio e Voltaire – veniamo accompagnati alla scoperta di cento e più legami segreti, documentati o immaginati, illuminati e resi “più che veri” da un’indagine amorosa ed erudita.
Si può prendere questa antologia di vite come un breviario d’umanità, una nuova “legenda aurea” che celebra un genere particolare di santità. Quella di chi visse e morì cercando e cercando ancora, perché a chi cerca tutto può essere perdonato, anche l’eresia (soprattutto quella).
E’ la santità, che fu di Socrate e di Gregorio Palamas, di Seneca e di Athanasius Kircher, di chi vuole conoscere se stesso, anche se sa bene che la vita intera gli non basterà. Le biografie (due o tre pagine) hanno un andamento composto, secco, volutamente ripetitivo, hanno incipit da rosario laico, ritmo da lodi bizantine: “Thomas Merton fu un monaco, un mistico, uno scrittore, un poeta, uno degli Asceti nascosti del Novecento”; Verlaine “fu uno spedizioniere all’Hotel de la Ville, un carcerato in Belgio, un professore in Inghilterra.
Fu ovunque un etilista, un tossicomane, un bruto, un poeta”. Finché ci sono storie di uomini e donne da narrare, c’è speranza: speranza di potersi muovere nella storia, di saperla riconoscere e ascoltare anche quando gioca a farsi incomprensibile e opaca.
Salvare le storie degli uomini è salvare noi stessi, è proteggerci con l’impenetrabile e lucido guscio della tartaruga. Perfetto nume tutelare, capace di avanzare lenta e sicura tra riferimenti curiosi, aneddoti scelti per la loro rarità o stravaganza, immagini folgoranti, ispirazioni inaspettate e rimandi enigmatici (“Rainer Maria Rilke non nacque né su ordinazione né per ambizione del nostro tempo, ma per essere il suo contrappeso”; “Gaio Petronio nacque in giorni in cui pagliacci vestiti di verde facevano passare giovani maiali addestrati attraverso cerchi di fuoco”).
Il guscio della tartaruga, il carapace che la occulta e la protegge, non aderisce al corpo dell’animale ma racconta ciò che essa è, in essenza.
Anche le sessantacinque vite accostate per simpatia o per caso da Silvia Ronchey compongono un mosaico-carapace che racconta l’essenziale ma chiede di essere compreso oltre la lettera. Chi lo vorrà, dopo aver risposto a tre indovinelli sul sito di Nottetempo, capirà in che senso.
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Gli spilli di Slater | 13/05/2009 | L’album delle figurine di Silvia Ronchey…, Chiara Valerio
Voltaire era piccolo e magro, aveva un lungo naso e occhi arguti. Portò sempre, anche quando non fu piú di moda, la lunga parrucca riccioluta della Reggenza. Restò sempre, anche quando fu curvo e sdentato, un seduttore. Forse è perché sono stata bambina negli anni ottanta quando impazzavano gli album Panini. O perché gli elenchi mi hanno sempre tranquillizzato. O perché i baedeker sono il vizio dei borghesi e io borghese sono. O ancora perché, come scriveva Huysmans, dopo i fiori finti che imitavano i fiori veri, volevo i fiori veri che imitavano i fiori finti, ma Il guscio della Tartaruga di Silvia Ronchey (nottetempo, 2009) mi ha fatto compagnia e mi ha molto divertito. Secondo Borges l’impero romano non è mai finito, e noi ci troviamo in un punto qualunque della sua decadenza. Come tutti i veri divertimenti, quelli dei bambini, questo libro ha qualcosa che va goduto in solitario per poi vantarsi in pubblico. La struttura è semplice, è alfabetica, evita qualsiasi didascalismo di ritorno, comincia da Agostino e finisce a Zenone di Cizio, in sessantacinque passi.
Con un ultimo ritratto dal titolo greco. Non bisogna saperlo leggere, è una intuizione, una forma, ma domandatevi Perché il re di Asíne era diventato cieco. O per chi. L’ultimo ritratto è la figurina che manca, che anche se compri buste e buste dal tabacchino sottocasa non riesci a trovarla, e nessuno ha un doppione. Solo che il tabacchi sotto casa di Ronchey è la biblioteca di Alessandria. Che incredibilmente non è bruciata. Teresa d’Avila non era tenera di cuore, lo aveva anzi cosí duro da rammaricarsene. Però, quando il fuoco interiore è grande, per duro che sia il cuore distilla come un alambicco. Io mi accorgo che un libro così, di vite più che vere di personaggi illustri (come recita il sottotitolo), potrebbe sembrare un oltraggio al tempo che manca. Perché ci vuole attenzione per leggerlo, e talvolta i nomi di persone paiono geografie immaginate o pubbliche virtù, che l’irritazione per una ostensione così consapevole di conoscenza e connessione sta in agguato sulle spalle di chi legge. E sarebbe vero e sacrosanto e condivisibile, sarebbe odioso, se non fosse che la caratteristica principale di questo libello è la spensieratezza. Costruita, orchestrata, azzardata e tutto il resto. Ma comunque spensieratezza. Come i fiori veri di Huysmans.
Quella di Ronchey è la cultura accogliente e compagna della curiosità con cui si guarda il mondo. Fosse pure un mondo di carta. Stevenson si considerava un sopravvissuto. La sua vita era un’eccezione alla regola di Darwin, una deroga alla condanna che fin dalla nascita gli aveva inflitto la natura. E poi respirate, godetevi un italiano sontuoso che non si arrovella in subordinate e collezionate pure certi aggettivi che non si vedevano in narrativa da un tempo lungo e stanco. Non tutti insieme almeno. Aggettivi che ci appartengono e che ci descrivono. Perché Il guscio della tartaruga è lo specchio magico, d’acqua, nel quale immergersi e uscire diversi, più umani, con più orecchie e meno bocca. Secondo Hofmannsthal tutto ciò che si esprime è indecente. Il semplice fatto di esprimere qualcosa è indecente.
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Corriere della Sera | 15/05/2009 | Il lungo filo rosso da Platone ad oggi, Luciano Canfora
L'autrice, Silvia Ronchey, è una lettrice infaticabile. E forse anche per questo il suo ultimo libro (Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri, Ed. Nottetempo, pp. 244, euro 15.50) ha un modello principale, la Biblioteca di Fozio. Interferiscono ovviamente anche altri modelli collaterali, tra cui, in tacita ma ben visibile contrapposizione sin dal titolo, le Vite immaginarie di Marcel Schwob.
Come nel caso del grande repertorio foziano qui si potrebbe essere indotti a dire che siamo di fronte alle «letture fatte da quando ho l'uso della ragione» (come dice il Patriarca nell'ultima pagina); tolte beninteso le letture formative e istituzionali. Le citazioni da fonti certe sono incorporate nel racconto e diventano parte integrante di esso. TI filo conduttore è la citazione implicita come omaggio alla fonte che si ha davanti: cosa di più "ellenistico"? Alcuni autori prediletti dall'autrice sono omessi, e forse questa forma di omaggio silenzioso, per esempio verso autori quotidianamente frequentati come Fozio o Psello, vuol essere il punto più alto di un tale gioco letterario. Lo scrupolo filologico che sottende il lavoro (e che in Schwob è invece molto intermittente e mai dominante) si manifesta nella pagina finale dove viene preannunciato un complicato gioco superato il quale il lettore accede a centinaia di pagine di fonti che documentano passo passo, frase dopo frase, quanto narrato nel testo.
Servendosi della strada più rispettosa, quella della adesione piena ai testi, l'autrice conduce il lettore alla comprensione di punti essenziali della vita intellettuale antica. Il breve capitolo su Platone è particolarmente riuscito: non passerà inosservata l'intuizione di cosa significasse e come fosse centrale per Platone la lunga frequentazione di un «maestro». Forse solo alcune straordinarie pagine di Giorgio Colli sulla giovinezza di Platone (penso alle lezioni sui «filosofi sovrumani») accostano altrettanto efficacemente il lettore al delicato problema.
Con un procedimento che fu definito «arte allusiva» viene fatto puntuale cenno almeno una volta al precedente (non bello forse, ma significativo) di Marcel Schwob, al quale è riservato l'onore di essere trattato al pari di una fonte antica. Ecco infatti l'esordio del capitolo lucreziano: «Tra il sesto consolato di Mario e la dittatura di Silla, in anni di stragi e di terrore, apparve Tito Lucrezio Caro, al! 'ombra del portico nero di una remota casa di montagna». Di Lucrezio resta nel lettore una forte immagine, incentrata sul severo e disilluso finale del libro quarto.
In altri casi la suggestione moderna è meno trasparente ma il lettore accorto può avventurarsi e identificarla addentrandosi nel fitto repertorio delle fonti. Penso all'avvio del capitolo su Plotino. O meglio su Plotino e Mani, l'uno al seguito di Gordiano III, l'altro al seguito di Shapur: due "illuminati" al seguito di sovrani che si facevano la guerra, mentre invece loro, i due mistici, erano così affini «nel tempo in cui tutto il mondo, dalla Grecia all'India, aveva fatto confluire le sue segrete correnti di sapienza nell'alveo del pensiero di Platone». Qui c'è anche la eco di Toynbee, Il mondo e l'Occidente, in particolare di quel capitolo in cui il grande storico inglese descrive la trasformazione spirituale, e perciò la fine, del mondo antico.
Ma c'è qualcosa che davvero finisce nei processi storici? Non è forse proprio il neoplatonismo - cui l'autrice dedica tanta attenzione e tanta passione uno dei grandi fili conduttori, pur nel mutare (per lo più apparente) delle credenze religiose, della storia dell'Occidente?
Questo libro ha vari meriti, non ultimo quello di mescolare gli antichi e i meno antichi con i moderni e con i contemporanei. Che è forse lo strumento più efficace per far comprendere ai nuovi lettori che gli antichi sono più che mai tra noi e che solo un male inteso "classicismo della scuola" li ha relegati in un remoto iperuranio rischiando di soffocarli.
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Avvenire | 30/05/2009 | Silvia Ronchey, citare con stile, Alessandro Zaccuri
« Questo non è volare: questo è cadere con stile». Era la battuta chiave del Toy Story originario, anno 1995. Ed era, in realtà, una lezione di critica letteraria sotto mentite spoglie. All'inizio della storia, infatti, tocca a Woody, petulante cowboy in miniatura, accusare l'astronauta giocattolo Buzz Lightyear di sfruttare la forza di gravità per le sue picchiate e giravolte.
Alla fine del film è lo stesso Buzz a impossessarsi dell'interpretazione, se non che, nel medesimo momento in cui ammette di 'cadere con stile', il balocco sta effettivamente volando. A fare la differenza è la consapevolezza, l'accettazione della realtà, la capacità di trasformare in risorsa – lo 'stile', appunto – il limite imposto dalla finzione. Qualcosa di simile si verifica, con le dovute differenze, ne Il guscio della tartaruga, il nuovo e come sempre eruditissimo libro di Silvia Ronchey. Che è un catalogo di «vite più che vere» di grandi figure del passato non necessariamente remoto (si arriva fino a Stevenson, Warburg, Borges), ma è anche un gioco, un attualissimo game.
Ci si collega al sito della casa editrice (http://home.edizioninottetempo.it /), si risponde a qualche domanda e, se non si fanno errori, ci si trova in possesso dell'intero regesto di fonti alle quali l'autrice ha attinto per comporre, scaglia su scaglia, l'elegante carapace del testo. Un metodo che, qualche anno fa, Silvia Ronchey aveva sperimentato pubblicando quello che oggi è il racconto conclusivo della raccolta, Asínen te, nel quale un impercettibile accenno tratto dall'Iliade si dilata fino a comporre un'immaginaria biografia di Omero. Ma è Il re di Asine, una poesia del premio Nobel Ghiorgios Seferis, aveva fatto notare un lettore: non sarà che la scrittrice sta copiando? No, stava citando con stile, proprio come accade in ogni pagina del Guscio della tartaruga. Bizantinista, autrice tra l'altro di un'importante decifrazione dell'urbinate Flagellazione di Cristo ( L'enigma di Piero, Rizzoli, 2006), Silvia Ronchey è attratta dal dettaglio anche minimo e dalla coincidenza apparentemente fortuita. Disposte in ordine alfabetico, le sue microbiografie sfruttano spesso la suggestione dell'accostamento casuale, in base al quale la vita brevis di Platone precede quelle del dotto esegeta Gemisto Pletone e del discepolo e perfezionatore Plotino. Ad aprire la serie è Agostino, autore forse più rispettato che amato, considerata la simpatia con cui Silvia Ronchey guarda ad altre, diverse esperienze del mondo antico: il cosmografo Manilio, lo stoico Marco Aurelio, il neopitagorico Marziano Capella… Molto rappresentato il millennio bizantino, non di rado attraverso scorci di sofisticato sincretismo (si pensi alla lettura dell'Inno acatisto di Sergio Patriarca). Ma il vero pezzo di bravura, forse, è il mosaico su Teresa d'Avila, interamente realizzato adoperando frammenti di una sola opera, Il castello interiore.
Si può volare molto in alto, quando si è capaci di citare con stile.
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Il Riformista | 06/06/2009 | 65 vite illustri in un guscio di tartaru…, Antonello Guerrera
La bellezza di un libro risiede nella densità emozionale e nel fascino intellettuale della sua semplicità, grazie al gap positivo tra la sua preparazione e la confezione finale. Se la prima è mastodontica, accademica, impegnativa, e la seconda è godibile, scorrevole e, soprattutto, densa di erudizione, molto probabilmente si è davanti ad un lavoro da apprezzare senza remore.
Il Guscio della tartaruga – Vite più che vere di persone illustri di Silvia Ronchey (Nottetempo, 241 pp., euro 15,50) ne è un esempio evidente. L’autrice, giornalista e professoressa di filologia classica, schizza magistralmente 65 ritratti di grandi personaggi, della classicità e della modernità, con pennellate secche, precise, essenziali.
Da Catullo ad Huxley, da Perrault a Zenone, da Verlaine a Pitagora, per passare a Nietzsche, Balzac, Leopardi, Virgilio, Plutarco, Rilke e così via. Al contrario di enciclopedie e Wikipedia, le biografie della Ronchey si presentano come storielle intorno al fuoco. Semplici, lineari, ma, nel contempo, di superbo spessore filologico. Già, perché il leit motiv di Il guscio della tartaruga è proprio un tessuto di invisibili filamenti di citazioni bibliografiche, anche contrastanti, che in un paio di pagine stampano sull’immaginazione del lettore delle affascinanti vite illustri.
Sul «primo dandy della storia» Petronio, ad esempio, viene montato il dubbio finale del suo epilogo proprio grazie ad un incrocio di fonti. In questo passaggio sta il grande merito dell’opera. Da una parte, l’assoluto piacere di leggere più di 60 biografie (genere per veri adepti) con interesse crescente, grazie alla sinfonia narrativa che pervade l’opera. Dall’altra, un crogiuolo di fonti apparentemente irrintracciabili che ne genera il senso: il guscio della tartaruga, ossia un ritratto per i posteri che, mediante le citazioni, ricopre di mistero e fascino il corpo dell’animale, cioè il singolo personaggio. Offrendogli così protezione e attenzione.
L’ultima apprezzabile caratteristica di questa (dis)parata di guru è che, per chi ne avesse voglia ed interesse, Il guscio della tartaruga non finisce all’ultima pagina del libro. Perché la sua impalcatura è installata sul sito Internet di Nottetempo. Dove il lettore, superato un ostacolo di tre indovinelli, verrà premiato con il fil rouge dell’opera. Chi si ferma al tomo, al contrario, rimarrà come l’Eros del Simposio platonico: «un filosofo, un po’ a metà tra il sapiente e l’ignorante ».
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TTL | 06/06/2009 | Una tartaruga di vite illustri , Enzo Bianchi
L'immagine della tartaruga - avvolta, protetta e insieme ingentilita dal suo guscio - richiama la possibilità insita in ogni corazza: non solo strumento di difesa in guerra, ma anche splendore nel quotidiano, esaltazione della povera esistenza lì racchiusa. Pensare alle persone illustri come scaglie di un coriaceomosaico che nel corso dei secoli hanno protetto e abbellito il genere umano è un rimando all' arte di cogliere il tutto nel frammento, del valorizzare le tessere di un mosaico che l'occhio può comprendere solo se il cuore è capace di anticipargli la visione dell'insieme.
Silvia Ronchey raccoglie esistenze e le condensa in semplici frasi, a volte in una ancor più essenziale sequenza di sostantivi e aggettivi. Il guscio della tartaruga (Nottetempo, pp. 250, e 15,50), recente divertissement nel quale l'autrice colleziona vite più che vere di persone illustri è un affascinante percorso nella genialità umana.
Risalendo l'esile filo dell'ordine alfabetico ma libero di saltare a piacimento da un grano all' altro di questo invisibile rosario, il lettore visita passo dopo passo la Roma di Catullo e la biblioteca di Borges, scruta il castello interiore di Teresa d'Avila e rivive attraverso gli occhi del re di Asíne l'intera vicenda della guerra di Troia, penetra nella nebbia di Londra insieme a Dickens, ritrova la colonna e il fondamento della verità con Florenskij, decifra i numeri di Pitagora e segue Thomas Merton nel suo pellegrinaggioa oriente.
Laprosa della Ronchey non consente di distinguere la citazione letterale dall'adattamento ancor più fedele al pensiero dell'autore, quasi che la docente di Filologia classica e Civiltà bizantina faccia sua l'affermazione di Borges di essere «meno orgoglioso dei suoi scritti che delle sue letture». Già, perché in queste pagine è difficile dire dove la Ronchey sta scrivendo e dove sta invece leggendo a voce alta, sottolineando, narrando quanto altri hanno scritto prima di lei.
Le persone illustri vengono al contempo collocate nell'ambiente che è loro proprio e insieme trasfigurate in un'immagine altra, non meno autentica di quella storica: così Flaubert diviene un «eremita» la cui «tonaca era una lunga vestaglia scarlatta», così Stevenson appare come «un capotribù polinesiano », così Petronio inaugura nella storia la figura per nulla rara del «dandy», così il genio di Ildegarde di Bingen si scompone negli ingredienti del suo elisir da alchimista.
Ecome non sentirsi attratti da personaggi i cui tratti sembrano intagliati con il diamante della parola? Qui incontriamo Baudelaire «evaso dai bagni penali dell'angoscia», là troviamo Hofmannsthal che «nacque vecchio e morì giovane », ci imbattiamo in Verlaine «relitto perduto esposto a tutti i flutti», oppure ascoltiamo Schopenhauer che «aveva pensato di essere un libero docente che non riesce a diventare professore ». Vite di persone eccezionali, forse. Di certo a molti di loro si attaglia benissimo il detto di Confucio: «l'uomo superiore vive in pace con tutti, senza agire come tutti; l'uomo volgare agisce come tutti e non va d'accordo con nessuno». In questa stagione in cui la volgarità è prolifica, sarà bene non disperdere il patrimonio di pacifica saggezza custodito sotto il guscio coriaceo: «nulla - ci ricorda Florenskij - si perde completamente, nulla svanisce, ma si custodisce in qualche tempo e qualche luogo, anche se noi cessiamo di percepirlo».
Ecco, le pagine della Ronchey ci portano in quel tempo e quel luogo che custodiscono il tutto nel frammento, che distillano il meglio che la mente umana ha saputo dare, che difendono e abbelliscono l'umanità con l'umile corazza di una tartaruga dalle mille scaglie.
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Alibi | 08/06/2009 | Silvia Ronchey viaggia nelle vite di don…, Silvia Solcia
Come recita il sottotitolo, Il guscio della tartaruga tratta di “vite più che vere di persone illustri”. L'ultimo libro di Silvia Ronchey raccoglie racconti brevi intessuti di citazioni i cui autori sono spesso i protagonisti medesimi, che non raccontano la propria vicenda in prima persona ma, con le loro parole o quelle di altri che di loro hanno scritto, permettono alla Ronchey di descrivere con tocchi veloci ma densi e lirici la loro essenza profonda.
Troviamo inanellati Catullo e la sua storia d’amore con Lesbia, Conan Doyle e il suo dualismo con Sherlock Holmes, Borges ma anche Platone e Nietzsche, David e Freud e Fitzgerald e molti molti altri.
Sono belli gli elenchi nei quali mi pare che l'autrice indulga volentieri: "…Petronio piacque ai letterati del Basso Impero, a Sidonio Apollonio, a Vincenzo di Beauvais, a Poggio Bracciolini, a Balzac, a Eliot, a Fellini…"; sono inventari ricchi di nomi dotti e di vocaboli dal suono pieno come le erbe e le pietre tra le quali, tra il misticismo e la scienza, si svolse la vita di Hildegarda von Bingen.
Il libro non ha apparati né chiavi per essere decodificato. Chi proprio vuole la lista delle citazioni e delle fonti la trova sul sito dell’editore ma vi può accedere solo dopo aver risolto alcuni facili quesiti. Per stimolare il lettore o disincentivarlo?
È comunque pienamente soddisfacente lasciarsi andare al racconto, immaginare le storie accennate sulla carta, godere delle immagini e delle tensioni emotive evocate e lasciarsi magari condurre da questo libro a tutti gli altri che ne formano la trama e l’ordito, per sapere di più di questi uomini e donne, oltre il guscio della tartaruga.
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Io Donna | 13/06/2009 | Il guscio della tartaruga, Giorgio Montefoschi
Quante sono le frasi celebri, quanti sono gli episodi significativi della vita degli uomini e delle donne illustri del passato che riusciamo a conservare nella mente?
Non tantissimi. Allora, perché non provare a rispettare i meccanismi selettivi della memoria, e costruire non sterminate bensì piccole biografie, nelle quali è concentrato solo l’essenziale?
L’esperimento, non nuovo per altro, a cui si è dedicata Silvia Ronchey, raccontando in breve sessantacinque vite di personaggi famosi in un libro intitolato Il guscio della tartaruga, con sottotitolo: Vite più che vere di persone illustri. In questo libro i lettori onnivori saranno accontentati dal principio alla fine.
Gli studiosi della filosofia potranno spaziare da Empedocle ad Agostino, da Plotino a Schpenhauer. Coloro i quali, oltre al pensiero razionale, in un’epoca di molti dubbi, ancora credono che l’anima non muoia, troveranno parecchia soddisfazione specchiandosi nelle visioni estatiche di Teresa d’Avila e Ildegarde di Bingen. I cultori dell’inconscio siederanno sul lettino di Freud. Gli appassionati delle storie d’amore riconosceranno fremiti e ardori nei ritratti di Catullo e di Saffo. Gli scrittori non potranno mancare le vite di Dickens e di Fitzgerald, di Balzac e di Flaubert. E di tutti gli altri maniaci della scrittura prigionieri di pagine, come quelle di Flaubert, talmente levigate da sembrare ossari; oppure ammalati, come Fitzgerald, di quella malattia che lui chiamava «la febbre delle frasi»: disperato nei giorni in cui non riusciva a mettere giù due parole, ma ancora più disperato in quelli nei quali si domandava «se scrivere vale la pena».
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il Sole 24 ore | 21/06/2009 | Distillato di vite celebri, Alessandro Barbero
Questo libro ha un segreto», rivela nell’ultima pagina una nota dell’editore, discretamente siglata G. B.(ma non è un segreto che si tratta di Ginevra Bompiani, anima di nottetempo).
In questi casi il recensore dovrebbe sforzarsi di non tradire il gioco; ma è impossibile parlare di queste sessantacinque vite di poeti, scrittori e filosofi senza svelare che Silvia Ronchey le ha composte con un mosaico di citazioni dalle loro opere, così che ognuna è «più che vera». Chi desideri averne un riscontro può visitare il sito della casa editrice, dove risolvendo tre enigmi – peraltro non facilissimi, a meno d’essere un erudito classicista – si ha accesso al regesto di tutte le fonti utilizzate dall’autrice.
Aggirarsi in questo libro significa fare incontri folgoranti con gente che pensavamo di conoscere fin troppo bene, ma ci sbagliavamo. Si veda la vita di Catullo, «il cucciolo» come traduce in modo filologicamente impeccabile l’autrice: dove fra l’altro ci si chiede cosa fosse davvero quel passero di cui la sua fanciulla tanto si deliziava, e si dà una risposta che al liceo non era prevista. Ma la formula è buona anche perché permette di far dialogare fra loro autori che nella vita vera non hanno avuto l’occasione di farlo: così, se per Baudelaire «amare le donne intelligenti è un piacere da pederasta», ecco che André Gide(il quale appunto «fu uno scrittore, un viaggiatore, un memorialista, un pederasta »)gli ribatte:«All’uomo è necessaria molta intelligenza per non restare, con uguali qualità morali, sensibilmente inferiore alla donna ».
Silvia Ronchey ha confessato in pubblico di aver impiegato dieci anni per scrivere questo libro, e si può crederle, se si pensa che le due o tre pagine di ogni biografia sono il distillato di un’opera omnia lungamente frequentata. Uno dopo l’altro, gli «spiriti magni» con cui dialogava le hanno ceduto ora una frase, ora un’immagine in cui parlavano di sé o svelavano la propria idea del mondo, e l’autrice li ha condotti per mano, senza che se ne accorgessero, a scrivere la propria autobiografia. Solo due si sono ribellati quando hanno scoperto il gioco, come apprendiamo dal regesto: il gesuita padre Athanasius Kircher, il quale «dopo una lunga conversazione davanti alla mummia di Roberto Bellarmino nella chiesa di Sant’Ignazio a Roma» ha imposto di citare, e per esteso, soltanto il lunghissimo titolo del suo Oedipus aegyptiacus, e padre Pavel Florenskij, il grande teologo ortodosso scomparso nei lager staliniani, il quale «non ci ha permesso di fornire rimandi bibliografici». «Chi non ha la costanza di leggere interamente la mia opera », ha detto, «non merita di ritrovare le mie frasi ». Accomunato a Florenskij dall’ordine alfabetico e dall’interesse per l’umana stupidità, Flaubert ha cercato di fare di peggio: come osserva l’autrice, «levigò i suoi libri a tal punto che non se ne possono trarre citazioni».
Come avrà fatto allora Ronchey a scrivere di lui? Un controllo rivela che il mosaico di citazioni, stavolta, è quasi interamente tratto dalle lettere di Flaubert, meno ossessivamente levigate dei suoi libri. Citiamo questo caso perché giocando con le parole e con le idee dei suoi interlocutori l’autrice sembra talvolta, com’è giusto, parlare più di sé e della propria fatica che non di loro. Così nella vita di Luciano di Samosata leggiamo che «i suoi scritti erano un mosaico di citazioni letterali dai testi classici e dai loro più autorevoli esegeti. Per fare questo gioco letterario occorrono: una notevole biblioteca, una notevole cultura, una notevole presunzione e una notevole disperazione ».
E Silvia? «Tu sei quell’uomo», potremmo dirle; o almeno, per essere politicamente corretti come il sottotitolo del libro, «Tu sei quella persona»
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Corriere Nazionale | 23/06/2009 | Silvia Ronchey: il gioco della tartaruga, Stefania Nardini
Quello di Silvia Ronchey é un libro oggetto. Un bellissimo oggetto da tenere sul tavolo del salotto, sfogliarlo quando si vuole, farlo leggere agli amici. Si perché è un lavoro straordinario ed agile, in cui l'autrice ripropone la biografia meno conosciuta di personaggi che hanno fatto la storia.
Vediamo. Flaubert ha una vestaglia scarlatta ed è sul suo divano a fumare la pipa. Gide invece aveva una natura felina e secondo lui "gli uomini dovrebbero essere ben più felici di quanto lo siano". Agostino invece, da ragazzo "si imbestiali'" in amori diversi e tenebrosi. "Il guscio della tartaruga" (ed. Nottetempo) ha la qualità di mettere a nudo i lati deboli di personaggi la cui personalità reale è stata sopraffatta da quell'immaginario collettivo che li ha collocati diversamente da quel loro essere persone, con le loro debolezze, con le loro virtù poco note. Da Saffo a René Guénon Silvia Ronchey attraversa secoli di storia regalandoci un testo prezioso dal carattere anche divulgativo. Non a caso sul sito della casa editrice è allestito un vero e proprio gioco a indovinelli che ricostruisce questo mosaico di personaggi.
"Queste vite hanno un segreto - dice Ginevra Bompiani in una nota al testo - tutte le vite ce l'hanno,quelle che non si raccontano ancora di più di quelle che si raccontano. Ma anche il racconto ha i suoi segreti. Il guiscio della tartaruga è il segreto di queste vite".
Frasi, citazioni, descrizione fisica. "Zenone aveva il collo piegato di lato - scrive la Ronchey - come le sante in estasi o come gli epilettici". E ancora "Voltaire era piccolo e magro, aveva un lungo naso ed occhi arguti…. Resto' sempre , anche quando fu curvo e sdentato, un seduttore. Si senti' sempre, anche quando fustigo' gli aristocratici dei salotti, un aristocratico del pensiero".
Silvia Ronchey ha praticamente tolto dalla naftalina la biografia tradizionale per restituire freschezza a personaggi che tutti conosciamo, che abbiamo studiato a scuola, o che sono nel nostro bagaglio di interesse culturale. Un libro senza un target preciso. Da far leggere al nipotino piuttosto che sfogliarlo in quei dieci minuti di relax. Ogni capitolo è breve, scorrevole, veloce. All'autrice, non nuova nel mondo della saggistica, va il merito di aver reso accattivante la cultura con semplicità e intelligenza, operazione che di questi tempi è veramente preziosa.
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L'Espresso | 25/06/2009 | L’autoritratto te lo dipingo io, Angiola Codacci Pisanelli
C'è qualcosa di strano nel nuovo libro di Silvia Ronchey, "Il guscio della tartaruga" (Nottetempo, pp. 240, e 15,50). Queste "vite più che vere di persone illustri" sono raccontate da una voce che non solo non è quella solita della studiosa: non è lo stile di un autore di oggi.
Il lettore si sente insieme affascinato e respinto, attratto dalle vite di personaggi leggendari della storia e della cultura, e tenuto a distanza da un tono che non riconosce, e che varia di capitolo in capitolo. È come se tra lettore e testo ci fosse uno schermo: e infatti è così. Sul sito dell'editore tre quiz portano alla spiegazione. Se sai chi ha fatto il primo indovinello della letteratura occidentale, quale posto ha ispirato una preghiera a Ernest Renan e una sindrome a Sigmund Freud, e quale dio non è dotto né ignorante - e se non lo sai puoi chiederlo a Google - ecco che si apre il "regesto delle fonti": cioè la bibliografia a cui la Ronchey ha attinto per questo "centone" di citazioni d'autore. Si scopre così che Agostino è raccontato da se stesso (è quasi tutta farina delle "Confessioni"), che Baudelaire, Catullo e Saffo sono un collage di versi, che Dickens deve a Lampedusa almeno quanto Leopardi, Teresa d'Avila e Francis Scott Fitzgerald devono a se stessi. Quasi tutte queste colte e documentatissime vite quindi sono in realtà autobiografie: non ritratti, ma autoritratti per interposta persona.
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QN | 28/06/2009 | Grandi vite in poche righe, Luigi Luminati
I vecchi cronisti direbbero che non c’è più niente di inedito dell’edito. L’operazione di Silvia Ronchey è più raffinata ma si basa su un assunto che è similare: «Dopo tremila anni di letteratura viviamo in una civiltà dove tutto è stato detto e soprattutto scritto». Nel contempo, però, tutto si può dimenticare e poi recuperare, perché come il guscio della tartaruga che dà il titolo al libro, «questa cultura millenaria pesa su di noi ma ci protegge ».
Con le sue 65 «vite illustri» raccontate con brevi medaglioni letterari, dove si cuciono insieme citazioni del personaggio, citazioni sul personaggio di altri letterati, considerazioni dell’autrice, la bizantinista Silvia Ronchey racconta una parte della cultura amata.Magari affastellata, al di là dell’ordine alfabetico, ma comunque un insieme straniante ed affascinante al tempo stesso. Cosa lega lo storico Arriano, emulo di Senofonte, ad André Gide? Oppure Platone a Kerouac, Huxley a Guenon e Gurdjieff, Stevenson a Virgilio, Saffo a Teresa d’Avila? E’ «Il guscio della tartaruga » (Vite più vere di persone illustri) in libreria per Nottetempo. Silvia Ronchey, docente di filologia classica e civiltà bizantina all’Università di Siena, intellettuale poliedrica, lo racconta così.
Nel libro si dice che Borges era«meno orgoglioso dei suoi scritti che delle sue letture». Vale anche per lei?
«Assolutamente sì, anche per me».
Luciano di Samosata viene indicato come autore di mosaici letterari con citazioni classiche: «Un gioco in cui occorre una notevole biblioteca, una notevole cultura; poi presunzione e disperazione insieme». C’è qualcosa in comune con il suo di gioco?
«Certamente, detto così può sembrare un’operazione narcisistica. In realtà dopo tremila anni ogni consiglio di vita, ogni suggerimento, ogni saggezza, ogni sapienza sono state formulate, in una maniera perfetta ed in ogni declinazione possibile. E’ un archivio enorme, di cui non si può non tenere conto».
È questo il «guscio» del libro.
«La cultura pesa su di noi: ci rallenta, ci appesantisce, ma ci protegge e ci decora. La tartaruga va piano ma, alla fine, arriva all’obiettivo. Ricordiamoci il paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga».
Il guscio serve anche a non far disperdere questa cultura.
«Non sono apocalittica, ma la società, il mondo culturale è malato. Non solo la scuola o l’università non sono più le stesse; non solo la lettura non è più di moda; non soltanto l’élite culturale non esiste più.... Credo però che la rivoluzione mediatica in atto porterà a qualcosa di positivo: ad un nuovo rinascimento».
Allora adesso siamo nel medioevo?
«Diciamo che in ogni fase di passaggio, di affossamento dei vecchi mezzi di trasmissione della cultura per una nuova rivoluzione dopo quella di Gutenberg, si corre il rischio di perdere qualcosa. Il guscio evita anche questa diaspora».
Sarebbe una bella perdita.
«Certo, perché chi cerca consigli per la vita o perle di saggezza può trovarli nella letteratura, senza inseguire la new age o questo o quel santone. Il guscio ci difende...».
Lei però predilige gli “irregolari”, coloro che spesso sonoin bilico tra santità e dannazione.
«La cultura è ricerca senza esito definitivo. Non posso considerare un intellettuale chi ha dogmi e cessa la ricerca. Lo scrittore non è mai contento di quello che ha pubblicato».
C’è una superiorità del mondo antico?
«Fa parte della mia preparazione. Ma non è un dogma nemmeno questo».
Lei ha una simpatia particolare per Gemisto Pletone, fino ad indicarlo come possibile “fondatore” della massoneria.
«Lo considero un maestro della modernità. Se il rinascimento è stato considerato impossibile senza il platonismo, allora Gemisto è davvero il punto di svolta. Platone è stato riportato in Occidente da lui, partendo dall’accademia platonica di Mistrà e con le successive accademie di Rimini e Firenze. Il filo che porta in Scozia è noto da tempo».
Gli indovinelli su internet per leggere le «note» del libro?
«In realtà il libro è pieno di citazioni e non si può più riempire il volume di note. Per chi le ha colte e vuole approfondire c’è il regesto su internet, ma per arrivarci bisogna guadagnarselo rispondendo ad alcuni quesiti».
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Il Giornale dei Librai | 16/07/2009 | Il guscio della tartaruga, Valentina Ferri
65 incantevoli ritratti di personaggi celebri e meno noti per raccontare un segreto che verrà rivelato solo in fondo al libro. Come il guscio della tartaruga non aderisce al corpo, ma lo ricopre e lo illustra, così queste vite rivestono l'esistenza senza combaciare veramente, ma la proteggono e la adornano restituendole la sua marmorea freschezza. Dal grande Agostino, poi divenuto santo, che da giovane "si imbestialì in amori diversi e tenebrosi" a Giacomo Leopardi (chi non ricorda l'infelice poeta di Recanati?) che diceva "i libri di oggi per lo più si scrivono in meno tempo di quanto non serve per leggerli", perché la sorte dei libri è come quella delle farfalle Effimere: dura poche ore o qualche giorno, non di più. Un libro che probabilmente, invece, può durare: da tenere sul comodino, da leggere "nottetempo", da ritrovare per farsi compagnia con le vite degli altri che, come la nostra, celano sempre un mistero da scoprire (come si legge alla fine, ma questo è un indovinello...)
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La Provincia | 16/07/2009 | Da Catullo a Beaudelaire, consigli di so…, Stefania Briccola
Agostino che «da ragazzo s’imbestialì in amori diversi e tenebrosi» e Francis Scott Fitzgerald che «odiava la gente e la adorava» sono tra i personaggi illustri che Silvia Ronchey ci narra con grande levità nel suo ultimo libro Il guscio della tartaruga edito da Nottetempo. Sono vite più che vere da leggere come una fiaba per ricordare tutto quello che di buono è già stato scritto e detto senza il bisogno di ricorrere a un manuale New Age. Da non perdere il ritratto di Catullo, al quale viene restituita l’ironia che gli è propria, e di Baudelaire per cui «amare le donne intelligenti è un piacere da pederasta». Questa frase invita a riflettere e rivela che le donne hanno dovuto nascondere la loro intelligenza nel corso dei secoli tranne nei casi in cui facevano a meno degli uomini e si votavano alla solitudine. Non a caso i ritratti più appassionati sono dedicati a Ildegarda di Bingen, Teresa d’Avila e Saffo.
Professoressa Silvia Ronchey, può spiegare il senso del titolo del suo libro?
Il guscio della tartaruga è un simbolo che può rappresentare la cultura in quanto tale, come qualcosa che ci decora e ci protegge. Pur nella sua apparente lentezza la tartaruga in realtà porta con sé un organismo vivente fatto di tante parti e di tante scaglie quanti sono gli aspetti della letteratura e del sapere, con tutto ciò che è già stato scritto e che però continua a stupirci.
Quale stile ha scelto per ritrarre i vari autori?
Uno stile bizantino che al di sotto della superficie del testo cela un mosaico. Ogni singolo ritratto è un patchwork di citazioni letterali degli autori di cui viene raccontata la vita e dei loro personaggi. Le parti che ho scritto mantengono uno stile neutro simile a quello degli autori delle vite dei santi nel Medioevo.
Che senso ha oggi questa operazione bizantina?
La cosa migliore che possiamo fare oggi è citare ossia non dimenticare le cose importanti che sono già state suggerite proprio in termini di vita quotidiana. È inutile comprarsi il manuale New Age quando in fondo abbiamo tutto quello che ci serve, da Pitagora a Schopenhauer, per avere consigli di sopravvivenza al mondo contemporaneo. Il libro racchiude una sorta di counselling.
Tra i suoi ritratti Catullo esce un po’ diverso da come lo abbiamo conosciuto a scuola…
Catullo è spogliato di un’aulicità che poi non aveva. I suoi Carmina Docta sono estremamente disincantati. Forse tra tutti Catullo è il personaggio più coccolato perché visto in una luce privata attraverso la storia che ci ha narrato. È la storia d’amore e di passione di un ragazzo con tutte le ruvidezze della delusione.
Anche Baudelaire appare disincantato nei confronti dell’amore e impietoso con le donne…
Contrariamente a Catullo, le frasi di Baudelaire nascono da un’esperienza di molte delusioni amorose. Lui forse è il massimo esperto in questo campo e quello che ha detto più crudamente la verità sostenendo anche che amare le donne intelligenti è un piacere da pederasta. Purtroppo ce ne stiamo rendendo conto: oggi si parla solo di veline. La vita delle donne è sempre più difficile proprio per la paura che i maschi hanno dell’intelligenza femminile.
Ci sono autrici o autori che ha amato più di altri?
A proposito di donne intelligenti ce ne sono alcune che ho amato svisceratamente come Ildegarda di Bingen, Teresa d’Avila e Saffo. La scelta non è casuale. Non credo che attualmente si abbia un’idea del livello dell’intelligenza femminile lungo i secoli. Purtroppo le donne non si sono espresse. Le mistiche invece hanno avuto la possibilità di scrivere. La loro è una testimonianza importante della inestinta intelligenza e capacità della scrittura femminile. Quindi tornando alla verità di Baudelaire è come se le donne abbiano dovuto mimetizzare nei secoli la loro intelligenza tranne nei casi in cui si votavano alla solitudine.
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L'Unità | 19/07/2009 | Scrittori: vite perfette come Haiku, Paolo di Paolo
Ah, se le enciclopedie fossero scritte così! Costruendo 65 profili di «persone illustri» per Il guscio della tartaruga (Nottetempo), Silvia Ronchey rende avventuroso e animato il ritratto erudito. Ecco cheDickens non è catalogato come «scrittore», ma come «insigne creatore di mondi»; e Kerouac è «un romanziere, un etilista, un poeta, un vagabondo, un campione di football». La voce sull’autore di Madame Bovary si apre così: «GustaveFlaubert fuuneremita ».Ogni pagina sorprende: per ritmo e vivacità di scrittura. Per come lascia scopriredettagli, gesti e istanti in cui si riassume lo spazio di una vita.Ma niente è lasciato al caso: il segreto di Ronchey è nel suo affidarsi alla voce dei personaggi e da lì cavare lamateria di biografie che diventano «haiku». Contano, perciò, anche i corpi (vedi Balzac), gli sguardi, le piccole cose che riassumono una visione del mondo. Le convinzioni: «Secondo Baudelaire le tenebre sono verdi», «secondo Hofmannsthal tutto ciò che si esprime è indecente».Viteperfette,dunque: nel senso della compiutezza; nel senso della scrittura che, a posteriori, perfettamente, le salva.
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Left | 30/07/2009 | Sessanta vite d’autore, Filippo La Porta
Non dovrei dirlo perché per ragioni “professionali” sono un lettore di narrativa italiana contemporanea. Però a volte provo una vera insofferenza verso il romanzo, oggi un genere editorial commerciale più che letterario. Ogni giorno escono nel nostro Paese 41 romanzi! Almeno la metà sono italiani, e di questi gli esordienti costituiscono una bella fetta. Una selva oscura e fittissima in cui si rischia di smarrirsi. Dunque quando mi imbatto in un libro poco classificabile, “di confine”, a metà tra saggistica, narrativa, autobiografia, e che risponde più a una reale motivazione conoscitiva e meno al bisogno di apparire, mi sembra di tirare una boccata d’aria.
Questo è il caso de Il guscio della tartaruga di Silvia Ronchey (Nottetempo). Si tratta di 65 ritratti di donne e uomini illustri. Voci personalissime - precise e stralunate - di un’immaginaria enciclopedia pop, pagine di un album di incontri, manuale di storia delle idee attraverso le vite. Fra antichità classica e modernità, si spazia con aerea competenza e un certo gusto della messincena - rigorosamente in ordine alfabetico - da Agostino, Balzac, Borges, Catullo, Freud, Kerouac, Nietzsche, Pitagora a Saffo, Shopenhauer, Verlaine e Zenone di Cipro. Confesso di invidiare un po’ l’autrice perché la ritrattistica psico morale è un genere ricco di implicazioni e possibilità A volte ci basta descrivere qualcuno, anche vissuto 2.500 anni fa, per parlare di noi, per affrontare i dilemmi del nostro tempo. Mi soffermo solo su due ritratti. Il grande Luciano di Samosata, «osservatore della stupidità del mondo, della vacuità delle sue fedi, della vanitosa malafede di quanti vi sono incoronati sapienti», poi sbranato dai cani per il suo ateismo. Pensatore avversato e anche molto amato, è di una attualità quasi imbarazzante: prese in giro i concorsi a cattedra creati ad Atene da Marco Aurelio, che tra l’altro privilegiavano i concorrenti filosofi dalla folta barba… «Seppe mescolare così bene le cose serie alle prese in giro e le prese in giro alle cose serie, e dire la verità ridendo e ridere del dire la verità» che i suoi dialoghi satirici, a imitazione di quelli socratici, sono insuperabili. Accidenti. Se Luciano fosse redivivo - una caratteristica di questi ritratti è che l’autrice sembra parlare di persone conosciute personalmente - e fondasse un partito mi iscriverei subito.
L’altro riguarda Voltaire, piccolo e magro, con un lungo naso e occhi arguti. Anche lui, come Luciano, stigmatizzò l’intolleranza dei religiosi, ossessionati dall’idea di dover convertire tutti gli altri. Per lui la cosa più difficile è saper congiungere ragione ed entusiasmo. Solo la poesia riesce a realizzare la condizione perfetta: un “entusiasmo ragionevole”. Nella nota di Ginevra Bompiani, editore del libro, si dice che tutte le vite hanno un segreto, che consiste nel guscio della tartaruga, che ricopre e illustra il corpo, senza aderirvi. Certo, la verità è nascosta in superficie e, come sapeva Aristotele, l’anima non è che la forma del corpo. Dunque occorre descrivere bene le superfici per decifrarne il mistero.
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Luna | 01/08/2009 | Keats e gli uomini illustri, Nanni Delbecchi
John Keats visse solo 25 anni, ma gli bastarono per diventare una leggenda, un James Dean del romanticismo. Se Jane Campion ha presentato a Cannes il film Bright star, ispirato alla storia d’amore tra il poeta e la vicina di casa Fanny, quella di Keats è una delle Vite congetturali (Adelphi, 52 pagine; 5,5 euro) che compongono il prezioso trittico firmato da Fleur Jaeggy, con Thomas de Quincey e Marcel Schwob. E le Vite immaginarie di Schwob sono il calco nascosto di Il guscio della tartaruga - Vite più che vere di persone illustri (Nottetempo, 241 pagine; 15,5 euro), in cui Silvia Ronchey presenta i 65 ospiti del suo personale Pantheon da Platone a Baudelaire, fino a Kerouac. Non c’è voce del libro in cui non si faccia una scoperta.
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L'Unità | 30/12/2009 | Voli della memoria, il catalogo è questo…, Chiara Valerio
Forse perché sono stata bambina negli anni 80 quando impazzavano gli album Panini. O perché gli elenchi mi hanno sempre incuriosito e insospettito, ma il filo rosso che tiro dalla narrativa duemilanove è quello dei libri di frammenti e manierismi. Il guscio della Tartaruga di Silvia Ronchey (nottetempo) mi ha fatto compagnia e mi ha molto divertito. La struttura è alfabetica, evita didascalismi di ritorno, comincia da Agostino e finisce a Zenone. L’ultimo ritratto, fuori lista, è però la figurina mancante, che non trovi neanche quando in edicola compri buste su buste e nessuno ha un doppione.
Solo che l’edicola di Ronchey è la biblioteca di Alessandria.
In Oggetti smarriti e altre apparizioni (Laterza), Beppe Sebaste si muove tra escerti di vita passata, talvolta lacerti, segue i sentieri delle vite, sua e degli altri, perdute e ricomposte. Sebaste è un raccoglitore di voci che cataloga a memoria senza bisogno di teche e le sue parole sono etichette che identificano mondi.
Titolo variabile di Margherita Morgantin (Quodlibet) è una raccolta di aforismi in forma di disegno. Uomini che dormono sotto campane gaussiane per ripararsi dalla pioggia e numeri immaginari, ma immaginari di chi? Uomini piccoli e approssimativi, intenti e distratti, interpuntati da una scienza che spiega il mondo senza interpretarlo.
Orizzonte mobile di Daniele Del Giudice (Einaudi) è un diario nel quale le coordinate geografiche prendono il posto delle date.
Come in una singolare commedia geografica delle maschere Del Giudice premette una spedizione immaginaria a viaggi realmente viaggiati, a tempi sfasati e luoghi ricalcati. Dentro Orizzonte mobile i fusi orari assomigliano tutti a quello avvelenato de La bella addormentata.
Nomi cose e città di Arnaldo Greco (Fandango), in otto reportage di prosa e intuizione sferzanti, corre in un percorso commerciale che dal Vulcano buono a Nola arriva all’ospedale di Udine dove nato un bambino se ne fa un consumatore, passa attraverso la cucina delle badanti, i cibi biologici e i quotidiani col sudoku e descrive una Italia che compra più con la testa che con le tasche.
La vertigine della lista di Umberto Eco (Bompiani) delle vecchie fa conquista pel piacer di porle in lista e analizza l’elencazione come forma letteraria e se volessi cantarne gli estremi dovrei terminare con un et cetera e riflettere su quanto (o su se) la difficoltà di creare un mondo scivoli verso l’accumulazione dei dettagli. Anche se credo che dai dettagli parta la costruzione del mondo.
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Mangialibri | 10/06/2011 | Il guscio della tartaruga, Alessandra Farinola
Apuleio è scrittore, filosofo di scuola platonica, retore, mago e alchimista. Porta intenzionalmente i lunghi capelli lasciati cadere sulla fronte, è elegante e ricco, amante delle donne e amato dalle donne. Perché è bello. Ed essere bello e filosofo, beh, questo è difficile che gli venga perdonato, anche nella tollerante età degli Antonimi. Così subisce un processo. Ma in una notte di luna piena lui rivolge una preghiera alla nobile dea che si specchia fulgida nel mare con il suo disco lucente. E lei gli risponde. In cambio della sua divina protezione l’indomani chiede fedeltà per il resto della vita. Il mattino seguente Apuleio è così abile, brillante ed intelligente nel difendersi che il proconsole lo assolve. Così riprende la sua vita felice, sotto la protezione della dea. Alcuni raccontano che viva ancora oggi, ma nascosto, perché oggi davvero non è più possibile essere filosofo e bello... Freud chiamò psicanalisi gli insegnamenti di antiche discipline e aiutò i suoi pazienti insegnando loro l’antichissimo segreto: conosci te stesso. Chiamò inconscio quello per gli antichi era divinità e decifrò gli alfabeti della mente, strato dopo strato, come in quegli stessi anni Schliemann portava alla luce gli strati dell’antica Ilio. Amava l’antichità, l’ebreo austriaco, conosceva il greco, lingua in cui da giovane scriveva il diario, con la stessa sicurezza con cui padroneggiava altre lingue, vive o morte, compreso il linguaggio inconscio della mente. Collezionava antichi reperti tra i quali ogni giorno una gatta, entrata dalla finestra, amava scivolare ,per poi andare a sdraiarsi sul lettino da lavoro del grande professore... Apuleio e Freud sono due dei 65 personaggi illustri invitati alla cena numerosa di Silvia Ronchey. Così, infatti, in un’intervista, lei stessa definisce il suo libro : “una teoria di racconti in dimensione confidenziale di un salotto o di una tavolata”. Ma non si tratta decisamente di biografie convenzionali, non si tratta di “vite vere” in senso biografico. E’ piuttosto un puzzle di immagini, detti , parole, dati biografici ed intere citazioni o parafrasi delle opere di ognuno. Ogni capitolo è un bellissimo racconto, un profilo sapiente che può risultare piacevole scoperta di curiosità , anche amene (Verlaine non si lavava mai ed era di una bruttezza intensa; D’Annunzio a sera guardava i film di Walt Disney), o sfida dotta al lettore più smaliziato. Biografie letterarie, ecco, scaglie di qualcosa che loro stessi hanno voluto raccontare. Scaglie di quel guscio, fatto di parole e pensiero, che , come un’intercapedine, gli scrittori hanno creato attorno a sé per proteggere la propria anima. Queste scaglie sono affiancate, le une alle altre, con la sola logica che stabilisce un reticolo di relazioni tra autori amati fino a creare il guscio di una tartaruga, appunto. Un guscio che non aderisce al corpo ma lo ricopre e lo protegge, allo stesso modo in cui questi racconti rivestono l’esistenza dei personaggi senza mai combaciare realmente, ma illuminandola di scaglie di saggezza. Si tratta , insomma, come per il carapace della tartaruga, di un elemento di protezione funzionale ma assai bello, qualcosa che , da un lato, pesa addosso, dall’altro, protegge ed adorna e consente di vivere a lungo: parrebbe una bella metafora della cultura. E tanta cultura traspira da questi racconti, nello stile scarno ed essenziale, ma a tratti quasi inconsapevolmente poetico, degli enciclopedisti e agiografi bizantini tanto cari alla storica bizantinista che è la Ronchey. Divertente e gradevole il gioco on-line proposto a chi giunge a termine della lettura, che sul sito della casa editrice può rispondere a tre quesiti e quindi accedere all’indice delle fonti. E’ voluta infatti l’assenza di note e apparati che avrebbero reso il testo di tipo accademico. In questo modo invece, oltre che rendere interattivo il rapporto col libro, i livelli di fruizione sono diversificati e permettono la lettura a tutti. O quasi.
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| 30/06/2011 | Le monde des livres, René de Ceccatty
L'Enéide était inachevée à la mort de Virgile et c'est l'empereur Auguste qui en ordonna la publication posthume, contre les dernières volontés de l'auteur et pour le bonheur de la postérité. De même le De natura rerum parut grâce aux soins de Cicéron, une fois disparu Lucrèce, dont la vie nous reste totalement inconnue. Terence serait mort d'avoir perdu ses dernières comédies dans un naufrage : lui-même non pas noyé, mais "terrassé de douleur" sur les rives de l'île de Leucade. Selon le philosophe Arrien, le fameux noeud gordien, inextricable, ne fut pas tranché d'un coup de lame par Alexandre, mais soigneusement et patiemment désembrouillé en desserrant l'étau qui maintenait l'écheveau. Quand Sapphô découvrait une de ses disciples mariée au bras de son époux, elle s'évanouissait. Pétrone ne se serait pas tué, contrairement à la légende. Mais il aurait vécu avec un ami sur les routes, en prenant pour amants des vagabonds, des gladiateurs en cavale, et en jouant les faux magiciens. Henry James affirmait avoir entendu dans les ruines de l'amphithéâtre de Lyon les hurlements des martyrs chrétiens. Aldous Huxley mourut le jour où Kennedy fut assassiné... Les anecdotes littéraires dont fourmille le délicieux et brillant dictionnaire personnel de Silvia Ronchey sont pour certaines connues. Mais de nombreuses relèvent de la haute érudition. Cette spécialiste de la civilisation byzantine reprend la tradition savante et caustique de Boccace, de Vasari, de Walpole, de Borges et, plus près de nous, d'Alberto Manguel. Poètes, philosophes, artistes, sages et saints se côtoient dans cette encyclopédie des hommes et femmes illustres, d'Apulée à Zénon. Lettré mais léger, l'abécédaire de Silvia Ronchey peut se lire aussi comme un manuel de mélancolie bien pensée. La présence de Sénèque, saint Augustin, Leopardi, Baudelaire, Flaubert, Schopenhauer, Nietzsche avertit le lecteur qu'il n'y trouvera guère de leçons d'optimisme. Mais les esprits les plus pessimistes sont loin d'être les plus dépourvus d'humour. On pourrait utiliser ce livre singulier comme un jeu. Il suffirait de lire les définitions concises et spirituelles que propose l'auteur et de laisser deviner la personnalité ainsi définie. "Il entendait accomplir par la plume ce que Napoléon n'avait pas réussi par l'épée" ? Balzac. "Il joua à la guerre, occupa une ville, ne s'inclina jamais devant le pouvoir ni ne crut complètement à ce qu'il faisait" ? D'Annunzio. "A cinquante ans, lorsqu'il lisait en public des pages de ses romans, son visage prenait tour à tour les innombrables masques de la folie de ses personnages" ? Dickens. "Il ne gardait pas de crâne sur sa table de travail, mais souvent, lorsqu'il observait les femmes, il lui semblait apercevoir leurs squelettes" ? Flaubert. Quant à Apulée, l'auteur de l'Ane d'or, l'inventeur du roman, il fut condamné à mort pour sorcellerie, empoisonnement, pédérastie et cheveux longs. Mais il fut sauvé par la Grande Mère des Eaux, qui lui accorda l'immortalité. Il semble qu'il erre encore parmi les humains, mais invisible.
Portraits exquis (Il Guscio della Tartaruga), de Silvia Ronchey, traduit de l'italien par Ida Marsiglio, Arléa, 224 p., 17 €.
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