Il Foglio Quotidiano. Manuele II Paleologo, bizantino filoccidentale. Silvia Ronchey ci guida nelle trappole della teologia e alla scoperta dell'imperatore citato da Benedetto
13/09/2006
Marina Valensise
Il Foglio
Roma. “Ha scelto bene Papa Ratzinger, anche se a costo di una decontestualizzazione” dice Silvia Ronchey a proposito di Manuele II Paleologo, il dotto imperatore bizantino citato da Benedetto XVI nel discorso di Regensburg. “Fu uno tra i più intelligenti degli ultimi imperatori d’Oriente. Visse tra il 1350 e il 1425, e riuscì a sottrarsi al vassallaggio dei Turchi, costituendo un impero limitato a Costantinopoli, l’isola di Lemno, Tessalonica e la Morea sul Peloponneso. Ebbe sei figli, fra i quali Costantino XI o Costantino Dragasse, che fu l’ultimo imperatore romano d’Oriente a sedere sul trono di Costantinopoli nel 1453, quando la città cadde sotto il dominio ottomano”. Il papa ha citato un famoso dialogo tra Manuele II e un persiano, che si svolse nel 1391 ad Ankara, sulla verità del cristianesimo e l’islam, l’immagine di Dio nelle tre religioni del libro e la jihad. In quel dialogo Manuele II si rivolge al persiano e gli dice: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Manuele II Paleologo fu un grande riorganizzatore dell’impero. Fu un laico e un realpolitiker. Lanciò una politica filoccidentale perché venisse organizzata la crociata antiturca che poi fallì tragicamente a Varna nel 1444, col tradimento degli alleati. I sei figli che ebbe dalla serba Elena Dragas furono tutti personaggi di spicco. Il primogenito, Giovanni VIII, per il quale abdicò ritirandosi a vita monastica, fu il promotore del Concilio di Firenze che nel 1439 in funzione antiturca sancì l’Unione delle Chiese, latina e d’Oriente, tant’è che nella Flagellazione di Piero della Francesca (rimasto a lungo un enigma prima che la Ronchey lo risolvesse in un magnifico studio, Rizzoli 2006) figura seduto sul trono, mentre il fratello Tommaso è il biondo principe che si staglia sullo sfondo. “Da un punto di vista filologico, però, le cose sono più complicate”, spiega Silvia Ronchey. “Quello citato da Benedetto XVI è solo il settimo di ventisei dialoghi, pubblicati in versione integrale dal tedesco Trapp nel 1966, mentre il papa cita l’edizione parziale del francese Khoury, “Entretiens avec un musulman”. Ora è certo che i dialoghi siano realmente avvenuti nel 1391 in Ankara, ‘città che una volta era ricca e non lo è più, e non lo è nemmeno di empietà’ come si legge nel testo.
L’interlocutore del basileus era il direttore di una madrassa, tal Mouterizes, equivalente all’arabo Mutarrif, un vecchio che ‘non si compiaceva della discordia’ viene definito ‘eugnomon’ cioè non solo saggio, ma di retta opinione come i suoi due figli ‘dotati di senno e saggezza’ che assistono all’incontro. I due discutono su un piano di parità, tant’è che il musulamo sostiene persino che vorrebbe capire il culto cristiano, ma non si trovano maestri in grado di spiegarli.” L’imperatore invece sembra meno sensibile all’idillio. “E’ vero che espone una confutazione abbastanza secca e forte dell’islam. Eppure, gli studiosi a questo proposito danno per certo che Manuele II non abbia fatto ricorso alla tradizione teologica greca, alla dottrina bizantina, ma abbia al contrario citato testualmente la traduzione greca, offertagli in dono da Demetrio Cidone, di un trattato latino, il “Contra legem Sarracenorum” scritto alla fine del XIII secolo dal domenicano fiorentino Ricoldo da Montecroce”. Sta dicendo dunque che il colto imperatore di Bisanzio del XIV secolo, citato da papa Benedetto XVI agli inizi del XXI , in realtà non faceva che tradurre il trattato di un domenicano fiorentino contemporaneo di Dante? “Filologicamente, lo ripeto, non c’è nulla di strano. Manuele II, e gli studiosi ne sono convinti, sfrutta questo testo. Ma non lo cita in modo esplicito per non essere tacciato di latinofronismo”. In altri termini, da imperatore d’Oriente non vuole venir accusato di essere papista? “Sì. Diciamo che sono tesi che proveniendo da ambienti domenicani Manuele II le fa sue, ma sul piano teologico non rientrano nella tradizione bizantina”. Vuol dire forse che sono tesi più estreme rispetto a quelle dei teologi bizantini? “Guardi la teologia è una giugna boscosa, impenetrabile e piena di trabocchetti. Bisogna muoversi con circospezione e riconocere le fonti. La dottrina dei teologi bizantini sull’islam è inaugurata da Giovanni Damasceno, che fu un grande padre della Chiesa nato nel Califfato dopo la Conquista avvenuta alla fine del VII secolo, che visse e operò nel monastero di San Saba, in pieno territorio islamico, e in un regime di piena tolleranza per i cristiani. E se uno proprio volesse insistere sulla filologia, dovrebbe chiedersi come mai un sommo esperto di patristica qual è Benedetto XVI non abbia citato un teologo come Damasceno, e abbia invece preferito riproporre le parole di una grande mente politica del XV secolo. Manuele II Paleologo fu l’espressione di una minoranza che seppe superare i rancori ancora vivi contro la latinità, da quando nel 1204 furono i Crociati a dichiarare la guerra santa, mettendo Costantinopoli a ferro e fuoco, e spingendo il clero e la popolazione bizantina dalla parte dei turchi. A fronte di tutto questo, e in un’epoca di completo sincretismo, dove il neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone poteva passare per il Secondo Maometto, Manuele II volle scommettere su Roma. Divenne l’eroe del filoccidentalismo e l’ultimo genio politico di una civiltà martirizzata dall’islam”.