L'autore del Satyricon, il primo dandy della storia
TTL - Cl@assici
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Gaio Petronio “nacque in giorni in cui pagliacci vestiti di verde facevano passare giovani maiali addestrati attraverso cerchi di fuoco”. Tacito lo ritrasse come un buon proconsole, Huysmans lo sognò tra la selvaggina di Sodoma, Schwob aspirò il profumo del tavolo di cedro su cui scriveva. Petronio cesellò in una lingua da orafo i vizi di una civiltà decrepita. Piacque ai letterati del Basso Impero, a Sidonio Apollinare, a Isidoro di Siviglia, a Giovanni di Salisbury, a Vincenzo di Beauvais, a Poggio Bracciolini, a Balzac, a Eliot, a Fellini. Petronio fu il primo dandy della storia. Non era nobile né bello. Era piccolo, nero e strabico. Non rimetteva due volte una lana di Tiro. Fu un conversatore, un romanziere spietato, un moralista, un debosciato. Petronio dedicava i suoi giorni al sonno, le sue notti al dovere e ai piaceri.Come altri avevano raggiunto la celebrità col lavoro, lui l'aveva raggiunta con la pigrizia. Non aveva fama di dissipato, ma di erudito del lusso. Nelle parole e negli atti affettava una noncuranza e una certa languida indolenza che veniva presa per semplicità. A trent'anni lo colse la voglia di scrivere le storie che di notte, alle porte della città, fra le tombe, gli raccontava il suo schiavo Siro, le stesse che si sussurravano i tavernieri e i guardiani delle croci dei suppliziati. Petronio aveva mani da artigiano e uno spirito colto. Prese a incidere le parole sulla pergamena. Quando ebbe terminato, convocò Siro per leggergliele e lo schiavo rise e gridò ad alta voce battendo le mani. Le sue parole parlavano di ville di una ricchezza e di un fasto sfacciati, di taverne brulicanti di piattole, di osceni eroi come Ascilto e Eumolpo, di vecchi con le guance intonacate di cerussa e rossetto, di giovani prostituti paffuti e riccioluti, di donne in preda a crisi di nervi, di genitori pronti a offrire figli e figlie alle voglie di ricchi parvenus, di falsi intellettuali che ruttavano e poetavano nelle cene di lusso e si palpeggiavano nei bagni. Nominato proconsole in Bitinia e poi console, Petronio si mostrò all'altezza degli affari di stato. In seguito, ricaduto nella dissipatezza, o fingendo di esserlo, fu ammesso nella cerchia più ristretta di Nerone. Divenne l'arbitro delle eleganze. Niente dilettava o vellicava il principe se non era stato prima scelto da Petronio. Si attirò l'invidia di Tigellino, che lo fece denunciare come traditore solleticando la libidine più forte di Nerone, la crudeltà.
Petronio non sopportò di restare sospeso tra il timore e la speranza. Non volle però disfarsi della vita troppo in fretta e prese a giocare con la morte. Prima si fece aprire le vene, poi se le fasciò strette, poi le aprì di nuovo, e intanto chiacchierava con gli amici. Non voleva sentire frasi sull'immortalità dell'anima né massime di saggezza, ma solo poesie leggere e versi lascivi. Fece regali ad alcuni schiavi, altri li fece frustare. Si mise a tavola, si lasciò andare al sonno, cosicché la sua morte, voluta e studiata, sembrasse casuale.
Secondo altri, non è vero che Petronio si sia spento lentamente in una vasca di marmo. Fuggì invece con Siro e continuò la sua vita sulla strada. Come i loro personaggi, furono maghi ambulanti, ciarlatani di campagna, amanti di soldati vagabondi e di gladiatori evasi. Si dice che vivessero dei pani funerari che rubavano nei sepolcri.
IL LIBRO
Petronio, Satyricon, a c. di Luca Canali, Bompiani, 289 pp., £ 15.000