Sos per i monasteri serbi
Lettere da Bisanzio
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Sulle corde degli antichi strumenti balcanici, la tradizione popolare musicale e poetica del Kossovo da cinquecento anni racconta che il principe Lazzaro, il grande sconfitto a Kossovo Polje, si alzerà e andrà a continuare la liturgia interrotta nella Chiesa che è il simbolo della tradizione cristiana nel mondo balcanico, il luogo dove si addensa ogni aspettativa di salvezza, il fulcro della spiritualità ortodossa: nel monastero di Décani, lo stesso monastero che nelle scorse settimane le truppe di interposizione italiane e europee hanno dovuto difendere dai guerriglieri dell’Uck.
Lazzaro risorgerà al limite estremo dei tempi, e quell’eschaton sarà perciò rinascita, rigenererà insieme allo stato serbo l'identità etnica di tutta la romaiosyne, per così dire intimamente contaminata e quasi geneticamente alterata dal sangue dei turchi, dopo la simbolica inumazione del sultano Murad nella piana del Kossovo e la definitiva penetrazione, nel1448, di quell'etnia difforme nel mondo greco-balcanico. Una concezione sorprendentemente simile, sull’alterità profonda delle strutture di conflitto introdotte dai turchi in Europa, è stata sostenuta da Pierre Toubert, il grande medievista del Collège de France, nel suo ultimo seminario sull’idea di frontiera.
Una sorte anche peggiore di quella di Décani si dice sia toccata ad altri fra le centinaia di monasteri e metòchia che danno il nome di «Terra Sacra» - spiega Antonio Rigo, cattedratico di Storia Bizantina a Potenza, massimo esperto italiano in materia - a quella regione autonoma della Serbia (Metohija, appunto), afferenti al Patriarcato serbo di Pec o agli altri centri ecclesiastici maggiori. Le tragedie provocate dalle opposte guerriglie - sottolinea Rigo - non sono purtroppo inaspettate, ma il ritorno di una violenza antica. A parte le distruzioni operate dai nazionalisti albanesi durante la seconda guerra mondiale, bisogna ricordare che episodi simili erano già avvenuti di recente, negli ultimi decenni. E dall’altra parte già in epoca ottomana le autorità turche avevano stabilito delle guarnigioni nei monasteri per difenderli da questo tipo di incursioni.
Le prime fondazioni, come san Pietro di Korica o Studenica, risalgono a pochi decenni dalla fondazione stessa dello stato serbo, come può vedersi nel bellissimo volume di Goiko Subotic, Terra sacra. L’arte del Cossovo, pubblicato da Jaca Book (traduzione dal serbo di Isabella Meloncelli). Ma l’età d’oro dei monasteri del Kossovo è tra la fine del XIII e il XIV, negli anni segnati dai grandi sovrani guerrieri, committenti ai maestri bizantini di capolavori come, oltre a Pec e Décani, Santo Stefano di Banjska, Gracanica, la Madre di Dio di Ljevisa, i santi Arcangeli di Prizren. I grandi occhi del Pantocratore si aprono nella cupola della chiesa di Décani, la Madre di Dio e le gerarchie celesti popolano i grandiosi cicli di affreschi murali, che risalgono al XIV secolo, non hanno uguali nel mondo ortodosso, sono paragonabili per importanza soltanto al ciclo di Assisi. Ma insieme a tali soprannaturali presenze a Decani, come anche a Pec, troneggia, su fondo azzurro, grande quanto tutta la parete orientale del portico, un immenso albero genealogico della dinastia serba, con rami, germoglio, fiori, foglie e ritratti di sovrani immortalati in una vita eterna, simbolo di un'eterna rivendicazione di dominio, perfino di un’idea imperiale. È soprattutto a causa di questa perdurante valenza politico-simbolica - propria di tutta l'arte, se decrittata - che i monasteri del Kossovo sono stati recentemente presi di mira. Anche se, dopo le accuse contro le scelte di campo del Patriarcato serbo lanciate da tutta la propaganda occidentale e le recriminazioni politiche pubblicate ancora recentemente in prima pagina dal Wall Street Journal, le autorità monastiche si sono chiuse in un ostinato silenzio riguardo all'entità effettiva dei danni subiti prima, durante e dopo la guerra, danni materiali e spirituali.