Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

L'Oriente visto dall'Italietta

Lettere da Bisanzio

01/10/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

«Bizantino» si dice sui gior­nali di un intrigo politico scandaloso, vano e cervelloti­co nel degradato ambiente, de­nominato Palazzo, della par­titocrazia. «Bizantinismi» vengono definiti quei peculiari incidenti in cui il linguaggio tautologico e asintattico dei politici s’inceppa fino all'e­stinzione di ogni logica. «Bi­zantina» è insomma per ec­cellenza, nel lessico corrente in Italia, la corruzione: intellettuale o etica, dei costumi come del pensiero, delia politica e del linguaggio. Ma perché la democrazia italiana, che non è più e forse non è mai stata quella avvistata da Toqueville in America nè quella nor­deuropea cui si riferiva Chur­chill nel definirla la meno dannosa delle forme politiche, non smette di addebitare a una civiltà splendida e remota, per undici secoli passata di ri­nascenza in rinascenza, i propri attuali aspetti deteriori di reale degenerazione e deca­denza?
La bizantinistica scientifi­ca è stata fondata solo al ca­dere dell’Ottocento, a Monaco di Baviera, da Karl Krumbacher, ma gli studi sulla storia e sulla politica di Bisanzio esistevano da secoli. Li aveva­no intrapresi nel Nord Euro­pa i grandi filologi riformati della scuola di Melantone, co­me Hieronymus Wolf e in Francia l'erudizione gianse­nista (fino a che punto lo ve­dranno tra breve i lettori del nuovo appassionante saggio di Luciano Canfora sul Fozio censurato, che uscirà a fine ot­tobre). Li aveva mutuati, nella sua aspirazione cesa­ropapista, la corte del Re Sole, e dalle stamperie del Louvre, per ferma volontà di Colbert, erano usciti i primi volumi del Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, detto appunto Corpus del Louvre. Nel cam­bio della guardia tra Francia e Germania dopo il Congres­so di Vienna il fiorire della bizantinistica corrisponderà, nei suoi termini cronologici, all’ascesa della monarchia prussia­na, e a Bonn conti­nuerà a stamparsi il Corpus degli Sto­rici, da allora in poi denominato Corpus Bonnense.
Se si ripercorresse intera­mente la storia degli studi bi­zantini, si troverebbe che è sempre legata a quella dell’i­dea di Stato e che, nel coltiva­re e patrocinare l’interesse in­tellettuale per ciò che real­mente Bisanzio fu, si sono av­vicendati tutti i grandi stati dell’Europa moderna. Alla base del discredito e del disin­teresse per l’esperienza del­l’impero d’Oriente vi sono in­vece, in Italia, un retroterra cuiturale e una tradizione po­litica di isolamento. La nozio­ne italiana di «bizantinismo» deriva, per un verso, dall’im­magine di una Bisanzio otto­centesca, falsa come una sce­nografia di melodramma; dall’Italietta Umbertina delle Cronache bizantine di Sommaruga, dal dannunzianesi­mo (non da D’Annunzio), da dépliant turistici e miti cam­panilisti. Ma, soprattutto, la demonizzazione di Bisanzio capitale degli intrighi è un’eredità ecclesiastica. «Infami» e sues venivano chiamati i bi­zantini nei documenti medie­vali delle cancellerie pontifi­cie. Il discredito di Bisanzio e del bizantinismo è il prodotto di una disinformazione deliberatamente accreditata, in origine, dalla propaganda ro­mana avversa all'impero che dall’altra parte del Mediter­raneo aveva perpetuato l’ere­dità classica escludendo il cle­ro dal potere secolare.
Oltre che l’esempio più perfezionato e complesso di cultura e prassi politica della storia dell’occidente, Bisanzio è stata, infatti, un tentativo di Stato laico, anche se domina­to da un’ideologia ultraterre­na, amministrato secondo il diritto classico da un’élite dominante ramificata, educata, cosmopolita e plurilingue. Sarebbe davvero magnifico, se il nostro mondo politico fosse davvero «bizantino».


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