La Bibbia di De Luca stravolta dagli errori
Il maggior semitista italiano accusa lo scrittore e la casa editrice
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Erri De Luca è uno scrittore famoso per libri quali Non ora non qui o In alto a sinistra, ma soprattutto per le sue scelte di vita - dalla lotta armata al cattolicesimo militante, persino con una breve parentesi sull'Avvenire - e per le sue traduzioni della Bibbia {Esodo, nel '94 e Giona nel '95) che hanno suscitato polemiche. Esce ora Kohèlet (cioè L'Ecclesiaste), che l'editore Feltrinelli presenta come «d'interpretazione originale e filologicamente rigorosa» di «uno studioso di ebraico» che compete con il padre dei traduttori, San Gerolamo. Ma non tutti sono d'accordo. Per esempio Carlo Zaccagnini, massimo esperto di lingue semitiche, ordinario all'Istituto Orientale di Napoli, autorevole membro del «Seminario di antichistica» dell'Istituto Gramsci di Roma e critico del manifesto, punta il dito e attacca: «Nel 1991, quando pubblicò Una nuvola come tappeto, sinistra avvisaglia delle sue future imprese che fin dal titolo esibiva un grave errore di ebraico, Erri De Luca affermava: "Studio l'ebraico, leggo la Bibbia". Una lapidaria improntitudine, come se le due cose potessero darsi contemporaneamente anziché in successione. A distanza di sei anni lo studio dell'ebraico di Erri De Luca è ben lungi dall'essersi concluso. Qualsiasi studente di una qualunque università che sostenesse l'esame di ebraico biblico propedeutico verrebbe di certo bocciato senza pietà se dimostrasse una conoscenza della lingua pari a quella della traduzione uscita da Feltrinelli. Erri De Luca si esime persino dal trascrivere correttamente le 23 consonanti dell'alfabeto ebraico».
Immagini di essere, come spesso le capita, in commissione d'esame. Quali sono le carenze?
«Erri De Luca dimostra un'insufficiente conoscenza del lessico ebraico, una macroscopica estraneità alla morfologia e alla sintassi della lingua ebraica, si vanta (p. 15) di non servirsi di dizionario. Quel che è più grave è il totale disinteresse rispetto alla diversa cronologia dei libri dell'Antico Testamento, che riflettono diverse fasi redazionali e dunque linguistiche.
Qualche esempio.
«Uno dei punti di riferimento fondamentali nella visione dell'Ecclesiaste è il concetto di tempo. Il termine-chiave è l'ebraico 'et, "tempo, giusto tempo, stagione", che scandisce la celebre sequenza di Ec. 3:18: "Un tempo per nascere e un tempo per morire" ecc. Erri De Luca non condivide: per lui 'et non significa genericamente "tempo", ma - cito le sue parole - è un luogo d'impatto tra fiocina e pesce, tra biglietto e vincita, asteroide e pianeta».
Che cosa vuol dire?
«Vuol dire semplicemente che gli manca un dizionario ebraico, la cui consultazione avrebbe evitato il ricorso a simili voli e soprattutto sconsigliato tutti quei "punti d'impatto" che rendono francamente grottesca la traduzione del passo: "Punto per nascere e punto per morire. Punto per piantare e punto per sradicare una pianta. Punto per uccidere e punto per sanare. Punto per piangere e punto per ridere". Direbbe Totò: "Punto, due punti e punto e virgola"».
E il celebre «vanitas vanitatum», lo slogan dell'Ecclesiaste?
«Il celebre hebel dell'Ecclesiaste, tradizionalmente reso con "vanità" ("Vanità delle vanità, disse Qohèlet, vanità delle vanità e tutto è vanità"), per Erri De Luca significa "spreco". "Spreco di sprechi e tutto è spreco" si legge nel secondo versetto del libro, che è accompagnato anche da una nota a pie di pagina: "Abele-spreco, nome di un singhiozzo"».
Professore, ma che significa questa nota?
«E' un suo tipico delirio... Anzi, no. Delirio può significare anche genialità, come quella di Ceronetti». Erri De Luca si misura con il «Qohèlet» di Guido Ceronetti. «Che, a partire dal titolo, traslitterrato nel modo giusto, è tutta un'altra cosa. Ceronetti è un maestro indiscusso. Usa licenze ma mostra padronanza dell'ebraico biblico, sa penetrare nella sostanza e nel linguaggio dei testi. Nelle mie ricerche e studi non ho mai utilizzato le sue traduzioni ma le ho sempre ammirate. Invece Erri De Luca è un abile, spregiudicato e suppongo - ben remunerato arruffone. La sua imitazione di Ceronetti rivela incomprensione anche del suo modello».
Torniamo ad Abele-spreco.
«De Luca ha "scoperto" che hebel corrisponde anche al nome di Abele, il figlio di Adamo ucciso da Caino. "Spreco", ci avverte dunque De Luca, "è il suo destino di vita abbattuta giovane". Contento lui. Per onestà di esegeta peraltro ci informa (p. 13) che un certo Fabio Truc, "un amico di Cogne esperto in particelle nucleari", disciplina strettamente funzionale all'esegesi biblica, lo "ha seguito su questi pensieri e poi ha concluso che per lui Abele/hevel è la parola assurdo"».
Assurda sembrerebbe la traduzione.
«Se vogliamo dirla traduzione. Certo, il più immediato effetto di questo incrocio tra un'insensata versione interlineare e una spavalda deformazione esegetica è l'illeggibilità del testo. Abbiamo tirato in ballo Abele, ora prendiamo Adamo. In Ec. 2:24 la traduzione normale sarebbe: "Non c'è felicità per l'uomo se non a mangiare e a bere, e procurare a se stesso felicità con il proprio lavoro: io ho visto che anche questo viene dalla mano di Dio". Ed ecco la traduzione di De Luca: «Non c'è un bene nell'Adam, che mangi e beva e faccia vedere al suo fiato un bene nel suo affanno. Anche questo ho visto io che dalla mano dell'Elophìm esso è". Mi sa dire che significa?».
Ma come c'è arrivato?
«Il termine ebraico adam significa "uomo". Solo in Genesi e in due altri passi di libri sapienziali e profetici adam si riferisce al primo uomo, e cioè ad Adamo. Niente da fare: per Erri De Luca è sempre proprio Adamo».
Professore, non è troppo severo con De Luca?
«Il problema che mi sta a cuore è la serietà dell'editore Feltrinelli. Come è possibile che libri del genere siano passati a un vaglio editoriale?».