Cenerentola vola al sabba delle befane
Dietro le riunioni notturne medievali così temute dalla chiesa si nasconde il culto di Diana, Ecate e della Dea Bianca
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“Certe scellerate”, si legge nei manuali ecclesiastici del medioevo, “sostengono di cavalcare la notte insieme a Diana, dea dei pagani, e a una gran moltitudine di donne; di percorrere grandi distanze nel silenzio della notte profonda; di obbedire agli ordini della dea come se fosse la loro signora”. Una misteriosa signora, che nei documenti processuali è detta anche “Madona Horiente”. Sono i residui della “religione dianica”, il culto precristiano di fertilità e guarigione, che gli studiosi hanno riconosciuto nelle descrizioni popolari del sabba.
Cos’ha a che fare il sabba, quel volo notturno di donne nel cielo stellato per siderali distanze dello spaziotempo che ancora oggi i residui del folklore popolare celebrano nella notte della cosiddetta Befana, con la venerazione di Diana, Artemide, Ecate, con la Dea Bianca, con la grande divinità femminile che pervadeva la devozione degli antichi? con quella bona dea o bona domina (“buona signora”), il cui nome ancora risuona nelle risposte agli interrogatori quattrocenteschi delle contadine del Trentino di cui ci narra Nicola Cusano, il grande filosofo e vescovo di Bressanone, e di qui Carlo Ginzburg in un libro ormai classico, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, ora ristampato da Adelphi (410 pp., 40 €)?
Fin dall'alto medioevo la donna era levatrice, medico, chirurgo, aveva tramandato di madre in figlia il lascito “magico” dell'antica sapienza che era stata di Medea e di Elena di Troia. All'inizio dell'età moderna due domenicani, Heinrich Institor Kramer e Jacob Sprenger, scrissero il Malleus Maleficarum: il “Martello delle streghe”, il più celebre e consultato tra i manuali degli inquisitori, in cui si spiegavano i malefici operati dalle streghe, i mezzi per riconoscerli, i sistemi per interrogarle e tutte le crudeli torture per estorcere loro confessioni quasi sempre false. In Europa, tra il XV e il XVII secolo, decine di migliaia di donne furono messe al rogo. In passato del resto la chiesa si era domandata se “questo individuo bizzarro” che è la donna, “così diverso dall'uomo come lo è la scimmia della foresta, potesse aspirare al titolo di creatura umana, e se potesse ragionevolmente accordarsi con lui”, come ricorda alla fine del Settecento il marchese de Sade in Justine, ironicamente alludendo al secondo concilio di Mâcon e alle sue dispute sulla liceità a considerare la donna homo, ossia appartenente alla specie umana e in quanto tale dotata di anima.
Quanto più grande il potere femminile è stato percepito, nei millenni, tanto più è stato ridotto e represso. E’ attraverso il mito che la grandezza di questo potere, e il timore che ha suscitato e suscita, può superare le rimozioni e manifestare, insieme alle paure, la sua verità. Come in quello di Medea, la strega per eccellenza della mitologia classica, o di Elena, che con il suo nepente addormentava il cuore degli uomini come gli sciamani siberiani con l’Amanita Muscaria, così in quell’altra storia di magia e stregoneria che è la fiaba di Cenerentola, tessuta di un’abbacinante varietà di materiali mitici provenienti dall’antichità greca ed egizia oltreché dall’estremo oriente, diffusa dalla Cina alla Scozia, dai Balcani all’Asia Centrale, dall’India all’America Latina, nelle cui versioni la studiò Claude Lévi-Strauss, che vide nel mito della “creatura di cenere” una figura di riconciliazione della vita e della morte, del cielo e della terra. Anche per Ginzburg “il monosandalismo di Cenerentola è il contrassegno di chi si è recato nel regno dei morti (la reggia del principe)” e quella stessa marginalità femminile che sottostà alle accuse di stregoneria “oltre a essere sinonimo di debolezza riflette in maniera più o meno oscura la percezione di una contiguità tra chi genera la vita e il mondo informe dei morti e dei non nati”. Cos’è del resto il sabba se non quell’“esperienza inaccessibile che l’umanità ha espresso simbolicamente per millenni attraverso miti, favole, riti, estasi”, e che “rimane uno dei centri nascosti della nostra cultura, del nostro modo di stare al mondo”, perché “anche il tentativo di conoscere il passato è un viaggio nel mondo dei morti”.
In uno dei suoi saggi, Il motivo della scelta degli scrigni, sulla scelta della donna nella letteratura e nel mito e il suo trascolorare da madre a sposa, a terra che accoglierà l'uomo al suo morire, Sigmund Freud riconobbe in Cenerentola, come in Cordelia, un’incarnazione di quella grande e onnipresente dea, che identificava con Afrodite nella sua versione funeraria, basandosi sull’intuizione di un grande filologo, Hermann Usener. Quest’ultimo aveva messo in relazione il giudizio di Paride con quello cui si sottopone Cenerentola partecipando al bando nuziale del principe, dal cui palazzo dovrà fuggire allo scoccare della mezzanotte, per indicazione della fata madrina, in un gioco di metamorfosi, proprio come accade nel sabba.
Forse né Usener né Freud conoscevano l’usanza bizantina che è al fondo delle principali versioni di questa fiaba di magia arrivata all’Italia barocca con Basile, alla corte del Re Sole con Perrault, poi alla Germania romantica coi fratelli Grimm. Il cerimoniale che presiedeva alla scelta della sposa dell’imperatore di Bisanzio prevedeva l’emanazione di un bando in tutto l’impero per indire il “concorso di bontà e bellezza” che avrebbe portato nel palazzo imperiale giovani candidate di ogni estrazione, ma che implicava anche l’esibizione, da parte dei messi, di una babbuccia purpurea, simbolo del potere bizantino.
Nel congegno di enigmi e specchi, di realtà e immaginazione che sempre governa la trasmissione del mito, il simbolo imperiale bizantino diventa strumento di castrazione: se il piede è notoriamente un simbolo fallico e nel feticismo del piede l’uomo adora il fallo femminile, questo dev’essere compresso, ridotto, come del resto nell’antica versione cinese della fiaba. Cenerentola, come Medea, viene disinnescata. Ma si conferma strega nel rituale di metamorfosi che la porta alla fuga al rintoccare della mezzanotte, allo scoccare del sabba, quando torna ad essere, come Apollo, signora dei topi, e quando il suo cocchio si trasforma, secondo gli antichi rituali magici grecoromani riflessi nella beffarda metamorfosi che Seneca inventò per il divo Claudio, in una zucca.