I sommersi e i trasfigurati: una chance per tutti noi
Bose: La trasfigurazione di Cristo nella tradizione spirituale ortodossa
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“La bellezza salverà il mondo”, scriveva Dostoevskij, ispirandosi a una tradizione millenaria. Per i grandi padri della chiesa ortodossa, la bellezza “salva” perché è una trasfigurazione dello spettatore. Agisce su chi la contempla proprio come la trasfigurazione di Cristo sugli apostoli. Dà la capacità di vedere la struttura spirituale e cristallina delle cose, al di là delle loro parvenze materiali e atroci.
Ma non è solo questo, ad ascoltare le relazioni dei dottissimi partecipanti - da Kallistos Ware a André Louf, da Michel van Parys al vescovo Ilarion Alfeev di Vienna, da Christos Yannaras a Ghelian Prochorov -, il messaggio del convegno del monastero di Bose su La trasfigurazione di Cristo nella tradizione spirituale ortodossa, che si concluderà domani sera: una vera e propria kermesse ecumenica, aperta dai messaggi del Patriarca di Costantinopoli e di quello di Mosca oltre che delle massime autorità pontificie, tra cui i cardinali Sodano, Bertone e Kasper. Se è vero, come ha ribadito nella sua conferenza inaugurale il priore Enzo Bianchi, che “la trasfigurazione è un mistero di trasformazione: il nostro corpo e questa creazione sono chiamati a diventare ‘altro’”, se dunque la Metamorphosis sul monte Tabor adombra la possibilità di metamorfosi di tutti noi, ecco che l’attualità del tema emerge anche in chiave politico-ecclesiastica.
Quasi tutti i relatori indicano una convergenza fra la lettura orientale e quella occidentale dell’episodio narrato dai sinottici, solo apparentemente rinnegata nei secoli: prima con la scolastica, poi alla vigilia della caduta di Costantinopoli in mano turca, con la controversia palamita, intrecciata alle fallite trattative per l’unione delle chiese. Una sorta di - forse involontaria - strumentalizzazione politica delle differenze tra culture religiose bizantina e russa da un lato, occidentale dall’altro, che in realtà hanno sempre camminato di pari passo, a formare un’unica civiltà spirituale.
Se l’interpretazione della trasfigurazione come divinizzazione del cuore è quanto mai viva in occidente, dove culmina con Pietro il Venerabile, la presunta cupezza della mistica occidentale si ritrova in realtà nelle espressioni più alte della recente mistica ortodossa. Per Serafim di Sarov come per gli starcy di Optina la visione della luce è in realtà visione del buio; per quel resistente alla violenza stalinista che fu Silvano dell’Athos “l’esperienza della trasfigurazione deve passare attraverso la notte della disperazione”.
C’è insomma una faccia nascosta della tradizione ascetica, che è comune a tutte le chiese e che può essere riassunta dalla celebre frase: “Tieni lo spirito all’inferno e non disperare”. La trasfigurazione si oppone allora a quella “sfigurazione” dell’umanità novecentesca - e non solo - che è l’inferno della guerra.