Fra Buddha e tantra, torna a soffiare il vento dell'Est
Cominciò Schopenhauer. Poi la voga si diffuse con gli hippy. Ora arrivano le edizioni critiche. Tra emozione e carnalità.
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Da qualche tempo, come l'ultima apparizione di un fiume carsico, una spiritualità occidentale alternativa riemerge dall'Oriente. Era affiorata già nell'hippismo degli anni 60 e 70, che attingeva alle correnti spirituali del Novecento eretico, di Hermann Hesse e Carlos Castaneda, di David H. Lawrence e Aldous Huxley: un movimento che contestava il materialismo occidentale, sperimentava conoscenze non più soltanto logico-razionali, precorreva quel processo di distruzione di un ego bloccato e statico che James Hillman ha chiamato «la caduta dell'Impero romano dell'Io».
Oggi, dopo il riflusso degli anni 80, quella corrente riemerge all'interno del diseguale fenomeno planetario denominato New age. La globalizzazione religiosa fornisce iniziazioni buddiste dietro casa. Nei nostri medioevali paesaggi sorgono templi tibetani perfetti, come sul monte Amiata, quello di Meregar: dove, nel recente raduno per la luna piena di maggio, un'élite di sincretisti, tra cui Guido Ceronetti, sgranava ro sari indiani di bacche.
Sul versante editoriale l'ondata orientale ha portato a una riscoperta della più antica e alta letteratura mistica: taoista e islamica, induista e buddista. Dall’edizione integrale della Via in cammino, il Taoteking di Lao Tse, con trascrizione fonetica e testo cinese a fronte, a cura di Luciano Parinetto (Rusconi), a quella miniera di informazioni sui poteri esoterici dei cristalli che è il Libro delle pietre preziose di Ahmad al-Tifasi, mistico musulmano del Trecento, pubblicato per la prima volta in italiano a cura di Ida Zilio-Grandi (Marsilio). Gli editori hanno così raccolto l'aspirazione di una massa crescente di pubblico a passare da pubblicazioni divulgative a edizioni rigorose dei classici orientali, dotate di buone traduzioni: un lusso che non si poteva permettere neppure Arthur Schopenhauer, il primo fautore in Europa, nel secolo scorso, della visione del mondo induista e buddista.
È appunto sul versante delle scuole idealistiche induiste che l'Adelphi pubblica ora un testo molto atteso: La presenza di Siva di Stella Kramrisch, rigorosa e smagliante esposizione del mito di quello che già Mircea Eliade aveva chiamato «l'asceta erotico»: Siva, il Danzatore, il Distruttore, il benefico e terribile dio dalla crocchia avvolta nei serpenti, dalla cintura fatta di crani; il Possente, il Rapitore, il Mortifero. Siva è il Sommo maestro dello yoga in quanto forma suprema di meditazione e mortificazione del corpo, ma nello stesso tempo è il Signore dell'Eros, rappresentato dal grande monumento fallico del Unga, che ne contrassegna la presenza nei luoghi sacri.
La tendenza alla carnalità e alla trasgressione, alla ricerca di stati emotivi intensi, di piacere o di allucinata emozione, porta a uno stato d'isterismo yogico, a un'«effervescenza della sensibilità», come la definisce Raniero Gnoli nell'introduzione all'opera di Abhina-vagupta, l'esegeta enciclopedico dei tantra: la monumentale Luce dei Tantra (Tantraloka), uscita sempre da Adelphi. Per il tantrismo, apparso nell’India del IX secolo della nostra era, basato sulla rivelazione di scritture anonime e non ortodosse (tantra, o «esposizioni salvifiche»), il dono più alto è «una capacità di meravigliarsi più elevata dell'ordinario» come scrisse Abhinavagupta.
Il potenziamento dei sensi diviene così divoramento del tempo nell’acutezza della percezione, sino alla follia, procurata o simulata, che accomuna le vite dei maestri kashmiri a quelle dei santi folli della contemporanea tradizione bizantina, ma anche degli hippy degli anni 70 o degli odierni punk.