Bose, una via per l'ecumenismo
Religiosi di Oriente e di Occidente a convegno nella comunità di Enzo Bianchi
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Ho trascorso questi giorni apocalittici di attesa e paura di una crociata, di una guerra santa, in una comunità rurale e antica dove la santità è di casa: la comunità monastica di Bose. Si tenevano, uno dopo l'altro, due convegni ecumenici: quello su San Giovanni Climaco, organizzato d'intesa con il patriarcato di Costantinopoli e con il monastero di Santa Caterina del Sinai, e quello sulle vie del monachesimo russo, sotto gli auspici del patriarcato ortodosso di Mosca, che si è concluso ieri. La verde lavra prealpina si era popolata delle tonache nere e delle fluenti barbe dei monaci ortodossi e dei membri del sinodo della Chiesa greca: gli stessi che pochi mesi fa apparivano tanto temibili, all'epoca del viaggio del papa ad Atene, passeggiavano sereni e sorridenti nei prati, tra i boschi, lungo i ruscelli. Damianòs, l'arcivescovo del Sinai, Gennàdios, il rappresentante del patriarcato di Costantinopoli. Poi sono arrivati gli slavi e i russi: Serafìm, il metropolita rumeno, Evgenij di Verija, a capo della diocesi di Mosca, usciti da un dipinto di Rublev, con le loro croci di smalto scintillanti nell'aria fina contro il cielo azzuro lacca.
Conversavano con studiosi, accademici delle scienze, professori universitari di tutto il mondo, ma soprattutto con l'aristocrazia intellettuale dei teologi e degli anacoreti d'occidente: il mistico benedettino André Louf, il mitico eremita Gabriel Bunge. C'erano monaci di Chevetogne, prelati di Canterbury, pope bulgari, serbi, perfino georgiani, e domenicani, francescani, cappuccini, camaldolesi, trappisti. Non mancavano le gerarchie vaticane. Tra i roseti, lungo gli orti e i filari di alberi da frutto, famosi per le loro marmellate, l'utopia dell'ecumenismo appariva miracolosamente realizzata. "Siamo un'unica Chiesa", aveva scritto nel suo messaggio Teoctist, patriarca di Romania. La babele delle lingue, dei riti, degli usi, delle differenze liturgiche e perfino delle divergenze teologiche appariva superata non solo dallo spirito comune, non solo dal sincretismo delle preghiere dominate dal canto dei salmi nella commovente interpretazione di Enzo Bianchi, ma soprattutto dall'incessante attività di traduzione e mediazione dei fratelli e delle sorelle di Bose.
I monaci di Bose sono tutti poliglotti. Il francese, l'inglese, il tedesco, il neogreco, il russo sono lingue franche in quest'isola di Utòpia monastica dove tutti sanno fare tutto, dalla liturgia alla cucina, dalle icone ai mobili, dalla coltivazione delle serre a quella della scrittura. I libri delle edizioni Qiqajon sono impeccabili nell'editing ed esemplari per l'equilibrio fra correttezza scientifica e genio divulgativo. I monaci pubblicano con costanza e implacabile competenza i testi del monoteismo occidentale e orientale, dalla Bibbia ai Padri del Deserto, da Thomas Merton a Martin Buber (140.000 copie vendute), da Isacco di Ninive, il grande siriano cantato da Battiato, alla stele di 'Xian, strepitosa testimonianza del nestorianesimo cinese, nella cui pubblicazione i monaci hanno battuto sul tempo perfino l'Adelphi.
Se è vero che alla radice degli attentati di New York, della Jihad e del Corano, c'è la stessa Bibbia di George W. Bush, se è vero che nella storia tutti i monoteismi hanno prodotto i loro fanatici martiri, l'unica via per distinguere il "bene" e il "male" non è quella di una divisione orizzontale tra occidente e oriente, ma di una distinzione verticale fra la tradizione spirituale e teologica vera e la religiosità pretesa, politica, strumentale, intollerante, che in tutte le confessioni monoteistiche si è espressa, ma che l'élite intellettuale dei loro esponenti ha sempre rifiutato, che fossero cattolici o ortodossi, ebrei o musulmani.