Quando l'uomo diventa come una briciola di pane
Sfida alle intolleranze al convegno ecumenico del monastero di Bose
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Bose, sabato 20 settembre. Si chiude oggi a Bose il grande convegno annuale sulla spiritualità ortodossa bizantina e russa. L'evento, organizzato sotto gli auspici congiunti dei Patriarcati di Costantinopoli e Mosca, ha avuto un'adesione larghissima, ancora più che negli anni passati. Nel verde della conca prealpina si sono affollati più di centosessanta fra studiosi e prelati di diversi abiti, gradi, chiese e confessioni: vescovi, metropoliti e chierici delle chiese ortodosse greca, serba, rumena, bulgara e russa, dei patriarcati di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, della chiesa armena, dei monasteri del Sinai, di Palestina, di tutto il mondo balcanico e slavo, insieme ad anglicani, protestanti e naturalmente cattolici, capitanati dal cardinal Silvestrini e dal nuovo nunzio apostolico a Mosca, l'arcivescovo Mennini, aperto verso l'ecumenismo e molto gradito al patriarcato ortodosso. Una mescolanza che ha dato alle giornate di studio quell'atmosfera da antico concilio medievale che è tipica delle kermesse di Bose e che contribuisce a renderle affascinanti per chiunque vi partecipi, sia laico o religioso, addentro o no alle antiche vicende e controversie delle chiese. Le une come le altre, del resto, sono state illustrate al folto pubblico da grandi ecumenisti, teologi e storici della spiritualità cristiana: dall'oxfordiano Kallistos Ware a Michel van Parys di Chevetogne, da Hervé Legrand a Antonios Tachiaos, ai monaci Savvas di Preveza e André Louf, autori delle relazioni più toccanti.
A differenza della parte più rigida e finora maggioritaria della shiesa cattolica, scettica verso l'ecumenismo come testimoniano le sue espressioni ufficiali e interessata solo all'identità cattolica romana, la comunità monastica di Bose, "da molti anni mantiene buoni legami con la Chiesa ortodossa russa", come ha dichiarato lo stesso patriarca Alessio II nel suo messaggio agli "amati in Cristo organizzatori e partecipanti". Facendogli eco il priore Enzo Bianchi, nel suo discorso, ha manifestato in modo esplicito l'intento ultimo del pluridecennale lavoro che Bose sta perseguendo: "Trovare gli strumenti e la via per giungere all'unità visibile" fra le chiese cristiane d'oriente e d'occidente. Perché, come ha detto, "la storia non è scenario della rivelazione, ma è lei stessa rivelativa". Se "la storia del mondo è opaca", lo scarto tra utopia religiosa e accadere storico "è lo spazio in cui si esercita l'ermeneutica, è lo spazio della libertà dell'agire umano".
Quella di Enzo Bianchi è tutto, dunque, fuorché "una religione prêt-à-porter", com'è stata definita quest'estate in un corsivo giornalistico. Al contrario, è una religione non facilé né pronta, ma da costruire passo per passo, anno dopo anno, ricomponendo anzitutto una storia non condizionata da remore confessionali ma attraversata da più voci: un tessuto in cui le tinte diverse, spesso contrastanti, delle versioni antagoniste si allineino fra loro e si intreccino in un lavoro di telaio, la cui spola è il rigore scientifico.
Se lo studio della storia del passato è a Bose lo strumento per salvare quella del presente, nessun tema poteva essere più attuale di quello scelto per la prima sezione del convegno, sulla spiritualità dei monaci bizantini di Gaza. L'area in cui sorgevano al tempo di Giustiniano i monasteri di Abbas Seridos è la stessa, a cavallo tra la striscia di Gaza, oggi nominalmente dipendente dall'autorità palestinese, e il Negev nordoccidentale, oggi istraeliano, in cui ebrei e arabi si affrontano quotidianamente e sanguinosamente. E' stata una sfida implicita alle intolleranze del presente rievocare il contegno di quegli antichi "coloni", come li ha definiti il cristianista Lorenzo Perrone, insediati tra popoli di religione diversa ma tanto meno bellicosi degli attuali, e capaci di assicurare la pace con discreti insegnamenti anziché con gli elicotteri Apaches. Perché il fondersi delle culture, all'interno della grande civiltà multietnica bizantina, conduceva a ritenere, con Barsanufio e Dositeo di Gaza, che "per abitare con gli uomini l'uomo deve diventare come una briciola di pane". Hanno rafforzato questo messaggio le novità presentate dagli studiosi israeliani dell'Università Ebraica di Gerusalemme: gli importanti dati letterari ed epigrafici addotti nella relazione di Lea Di Segni provenivano dalle ricerche di archeologici palestinesi ancora prima che israeliani.
La seconda sezione del convegno, sul Concilio di Mosca del 1917-18, si è concentrata su un altro punto focale e drammatico della politica contemporanea: il mondo postsovietico, il rapporto tra potere secolare e indipendenza della chiesa ortodossa russa, in un momento in cui la sua dignità ed esistenza stessa è minacciata dal proselitismo cattolico uniate: dalla paventata, imminente costituzione di un patriarcato cattolico di Kiev, con la recente rottura delle trattative fra il papa polacco e il patriarca russo. Riuscirà la pacatezza degli studi a prevalere sulla miopia delle confessioni? su, per usare le parole del priore di Bose, quell'"opacità" che dalle menti meno illuminate si trasferisce agli eventi della storia e della politica? E' la scommessa di Enzo Bianchi, della sua religione così difficile-à-porter.