Sir Steven all'ultima crociata
Un dandy dall'intelligenza originale, vissuto come una spia. I suoi studi furono rivoluzionari: fece a pezzi il mito delle guerre di religione e non esitò a definire «barbari» i cristiani
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Nel ritratto fotografico che gli fece Cecil Beaton, quand'era poco più che ventenne, Steven Runciman indossava un kimono di seta e tra le dita sottili reggeva un uccello di rara bellezza, di quelli che gli antichi imperatori orientali rinchiudevano in gabbie d’oro. Anche lui, James Cochran Stevenson Runciman, secondogenito del primo visconte Runciman di Doxford, aveva avuto in dono una bellezza rara, insieme ad altre doti raramente compatibili fra loro. Aveva un'intelligenza anticonformista, una vocazione alla scoperta, una vera e solida cultura classica, radicate nello strato sociale più alto di un impero morente dall’élite chiusa c conservativa, l’aristocrazia britannica. Ma la sua vita di esteta migratore e cronista della caduta degli imperi non fu mai imprigionata dalle grate d’oro di quella casta privilegiata e neppure confinata oltre una cortina di ferro, come i coetanei del gruppo di Cambridge che avevano cercato di porre la loro diversità al servizio dell’impero comunista. Il suo percorso si snodò, come il loro, da ovest verso est, ma fu se mai accostabile a quello di Maurice Bowra, il grecista di Oxford, o dello storico dell’arte Anthony Blunt, che diversamente da Philby MacLcan e dal suo ex-allievo Burgess restarono protetti dalla solidità degli studi e dalla solidarietà della corona. Nato a Scotswood nel 1903, Runciman imparò il francese a tre anni, il latino a sei, il greco a sette, il russo a undici. Il bulgaro e il turco si sarebbero aggiunti in seguito. Nel 1916 divenne King’s Scholar a Eton, nel 1921 History Scholar al Trinily College di Cambridge. Ebbe compagni di studi brillanti come George Orwell e Cyril Coonolly. Nel '24, dopo un primo viaggio nel Peloponneso in cui fu folgorato da Mistrà e Movemvasìa, iniziò la sua carriera di bizantinista abbordando l’unico storico allora interessato a quegli studi, John Bury. Purtroppo la gelosia della signora Bury, che bruciò tutte le sue lettere, non ci consente di ricostruire il contrastato rapporto fra allievo e maestro. Dopo la laurea, ottenuta nel ’27 con una tesi sul decimo secolo bizantino, percorse a piedi quasi tutta la Grecia e pubblicò i primi saggi: The Emperor Romanus Lecapenus (1929). The First Bulgarian Empire (1930), Byzantine Civilization (1933). Rimase a Cambridge, prima come Fellow, poi come Lecturer dal ’31 al ’38, quando l’eredità del nonno gli permise di dedicarsi unicamente alla scrittura. Durò poco. Allo scoppio della guerra, il dandy erudito che offriva marmellata di petali di rose a Beaton e Tennant dovette indossare la divisa. Convalescente da una grave dissenteria, costretto all'ingrato compito di censurare le lettere dei mulattieri dell’esercito cipriota, venne scovato da Guy Burgess. Fu proprio lui, nel '40, a fare assumere il suo ex-professore dal ministero dell’Informazione.
La prima copertura fu quella di addetto stampa alla legazione britannica di Sofia. Nel ’41 si trasferì presso l’ambasciata del Cairo. Fu poi censore cinematografico in Palestina. Negli anni di fuoco del conflitto mondiale, dal '42 al '45, insegnò arte e storia bizantina all’università di Istanbul. Nel periodo dell'occupazione inglese della Grecia e della sanguinosa guerra civile, dal '45 al '41, anno in cui pubblicò il geniale The Medieval Manichee, fu insediato al British Council di Atene, dove frequentò "the good bandit families” di Kolonaki. Il suo fu un itinerario geopolitico, oltreché scientifico, assolutamente leggendario, estraneo a ogni routine accademica. Runciman negò sempre di essere stato una spia. Ma è presente negli schedari dei Servizi segreti italiani, dov’è descritto come «molto intelligente e molto pericoloso».
Tenendosi stretto alla storia del secolo breve, Runciman comprese a fondo e raccontò quella, semignorata ma lunga un millennio, dell’antica autocrazia il cui fantasma statale dominava ancora le società microasiatiche, slave e balcaniche in mezzo alle quali era stato inviato. Sarebbe stato impossibile, senza una perfetta conoscenza strategico-militare dell'assetto navale del Bosforo, scrivere quell’esile capolavoro, The Fall of Constantinople 1453, pubblicato nel 1965 e tradotto solo recentemente in italiano. L'esperienza diretta, interna e segreta della politica illuminava il suo sguardo di storico, cosi come l’attualizzazione della storia lo guidava a capire la politica. «La storia non è in grado di spiegarci il futuro, ma può contribuire a spiegare il presente», scrisse nell’unico libro che dedicò al mondo moderno, The White Rajahs (I960).
L'opera che lo ha reso celebre, la monumentale, laica, revisionistica History of the Crusades (1951, 1952 e 1954), seguita da The Sicilian Vespers (1958), contribuì per prima a dissolvere la leggenda della guerra santa degli europei. Per Runciman, le crociate erano l'ultima invasione barbarica. Abbandonando la prospettiva eurocentrica e l'ottica papista, né svelò al pubblico la eroda realtà.
Bisanzio fu un tentativo di stato laico, se pure dominato da un'ideologia ultraterrena. Non dobbiamo dimenticare che la demonizzazione di una Costantinopoli capitale di intrighi perversi e insensati, discussioni teologiche contorte e inconcludenti, retorica cortigiana, corruzione, lassismo, che lo stereotipo del "bizantinismo” ancora oggi applica alla sfera politica come sinonimo di manovre occulte e funambolismi verbali, vacuità pretenziosa, mancanza di costruttività o concretezza, sono principalmente eredità ecclesiastica. Sono il frutto di un’obliterazione deliberatamente suggerita, in origine, dall’ostilità politica della curia romana verso un impero che dall’altra parte del Mediterraneo per undici secoli aveva privato il clero del potere secolare.
Nella sua Teocrazia bizantina Runciman affrontò proprio questo problema. Sviscerò la radice profonda dell’autocrazia, il cosiddetto cesaropapismo bizantino, che riuniva potere temporale e spirituale nella sola persona dell'imperatore frustrando e limitando il ruolo della chiesa. A differenza del sacro romano impero d’occidente, che, come aveva notato Voltaire e come Runciman sottolineò, «non era né sacro, né romano, e neanche un impero», Bisanzio mutuava dalla tradizione filosofica greca, dall’eredità giuridica romana e dal neoplatonismo ellenistico l’idea dell'autocrate come ipòstasi di Dio in terra, di un rispecchiamento tra impero umano e impero celeste, fra corte terrena e corte divina, che avrebbe dato vita a un sistema cerimoniale complesso, perpetuato per millenni fino alle monarchie di diritto divino dell’evo moderno, dalla corte degli csar a quella del Re Sole.
La sensibilità di Runciman per il mondo balcanico e slavo lo aveva portato del resto già da tempo, come abbiamo visto per la Storia delle crociate, a collocarsi in un solco di studi diverso da quello, improntato all'antagonismo confessionale, «lolla tradizione eurocentrica, o «romanocentrica. Scientificamente si era affiancato a quella che Vittorio Peri ha definito «l’autentica translatio studìorum avvenuta col trapianto di uomini e di opere tradotte nei Paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti nei due periodi susseguenti agli ultimi conflitti mondiali». Proprio in America, nella sede del Weil Institute di Cincinnati, Runciman fu invitato a tenere le sei conferenze sulle relazioni tra stato e chiesa a Bisanzio, da cui nasce questo libro. Una “felice occasione”, come l’autore scrisse, «per riordinare le mie idee su una questione fondamentale».
ll Lafcadio di Gide ripartiva il genere umano tra Crostacei e Sottili. Runciman, fin dai tempi di Eton, lo divideva tra Gradevoli e Sciocchi - tra questi ultimi includeva soprattutto intellettuali bigotti e accademici. Nella sua lunga vita si era fatto molti amici, da Lytton Strachey a Benjamin Britten, da Lawrence d’Arabia a Lady Ottoline Mondi, da Edith Wharton a Ghiorgos Seferis. Non amava solo i regnanti bizantini, ma collezionava quelli a lui contemporanei.
In Grecia era stato indovino di corte di re Giorgio II, prima ancora aveva letto i tarocchi a re Fuad d’Egitto. Era un’abitudine presa da studente, nelle stanze di Nevile’s Court, tra le grisailles primo ottocento di Eros e Psiche e gli acquerelli di Edward Lear. A Pechino aveva suonato il piano a quattro mani con l’ultimo imperatore Pu Yj. Era di casa nella famiglia reale del Siam. A Gerusalemme, nella liturgia della Pasqua ortodossa del 1931 si era divertito insieme alla principessa Alice a sgocciolare la cera delle candele di sego sulle mostrine del futuro maresciallo Montgomery, durante la cerimonia del Fuoco Santo.
Runciman adorava la Scozia. Sull’isola di Eigg, acquistata dal padre, si divertiva a mostrare agli amici il luogo preciso in l’antica regina aveva fatto decapitare tanti martiri cristiani. Quando la famiglia vendette Eigg, alla fine degli anni 60, si trasferì a Elsie-shields nel Dumfrieshire, in una torre diroccata vicino al Lochmaben, e si dedicò alle canzoni e alle danze popolari scozzesi. Ma l'immensa torta del suo novantesimo compleanno ebbe la forma della basilica di Santa Sofia.
Continuò a essere un grande viaggiatore, nello spazio come nel tempo, fino a novantasette anni, quando, poco prima di morire, fece il suo ultimo viaggio al Monte Athos. (...) Scapolo da una vita, si era cullato nell’idea di sposare un’anziana duchessa spagnola, per ottenere alla fine l’unico titolo che riteneva gli si addicesse: quello di Duca Vedovo.