Silvia Ronchey

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Noi e Bisanzio

Teodora: potere spudorato

Nel centenario della Théodora di Sardou interpretata da Sarah Bernhardt, un saggio di Paolo Cesaretti tenta di riabilitare l'immagine dell'imperatrice più scandalosa dell'antichità. Caposcuola dell'uso strategico della seduzione sessuale

03/04/2002 Silvia Ronchey

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Amica

Un giovane borsista austriaco che pensionava a Parigi con un magro assegno di studio acquistò un bi­glietto da quattro franchi al botte­ghino del grande teatro. Vi rimase dalle otto a mezzanotte, stancandosi molto e mo­rendo dal caldo, per assistere a “un drammone infernale" ambientato a Costantinopoli durante il regno di Giustiniano: Théodora, pièce in cinque atti e sette quadri di Victorien Sardou, con musi­ca di scena di Jules Masscnet. Il giorno dopo, an­cora provato, descrisse in una lettera alla fidan­zata quella serata spossante, da cui aveva ricevu­to tuttavia una grande impressione e tratto alcu­ni spunti d’osservazione non inutili alla disciplina nella quale si stava specializzando.
Il giovane si chiamava Sigmund Freud. Insie­me con un amico russo, assistente del medico personale dello zar ma altrettanto squattrinato, finì nelle stalles d’orchestre, luogo che nella lette­ra alla fidanzata Martha Bemays suggerisce di tradurre senz’altro “stalle dell’orchestra". Da lì, lo spettacolo “si vedeva e si sentiva benissimo”, racconta Freud, “ma credo che nella tomba si abbia più spazio e, dato che ci si sta distesi, si stia più comodi”. E prosegue: “Dopo il primo atto, si bol­liva alla temperatura delle uova sode; un po’ alla volta il caldo è cresciuto e. verso la fine, non c’erano parole per definirlo né modo di riferirlo. La maledetta megalomania dei francesi. Somministrano a una persona quattro ore e mezzo di tea­tro, allo stesso modo in cui danno cinque o sei portate da mangiare". Forse per questo il dram­ma di Sardou non riuscì a piacergli: “Una cosa va­cua e fastosa, splendidi palazzi e costumi bizanti­ni, l’incendio di una città, sfilate di guerrieri e tut­to quello che vuoi sono assolutamente freddi".
A colpirlo in maniera indimenticabile, solle­citando il suo talento di psicologo, fu invece la protagonista. Nei panni di Teodora recitava in­fatti l’incarnazione vivente della femme fatale di fine secolo, Sarah Bernhardt. “Però, come recita quella Sarah!", scrive Freud. “Dopo le prime pa­role dette con voce intensa e dolce, è stato per me come se l’avessi sempre conosciuta. Non ho mai visto un’attrice che mi abbia sorpreso così poco, immediatamente ho creduto a tutto quello che voleva”. E ancora: “È incredibile come si adatti a tutte le situazioni, come aderisca al suo personaggio, come reciti con ogni parte del cor­po. Una natura stranissima, e posso bene imma­ginare che non abbia assolutamente bisogno di essere diversa nella vita che sulla scena".
Per anni una fotografia di Sarah Bernhardt accolse i pazienti che entravano nello studio di Freud, a Vienna. Fu per lei che Jean Cocteau co­niò l’espressione “mostro sacro". Se l’inventore della psicanalisi l’aveva eletta a rappresentante perfetta della trasformazione della nevrosi in ar­te, Robert de Montesquiou, il prezioso dandy da­gli abiti color turchese, si vantò spesso di asso­migliarle.
Mentre ricorre il centenario della rappresentazione del 1902 al teatro Sarah Bernhardt di Parigi, un libro dedicato alla Teodora storica, non privo di ambizioni narrative, si misura con il mito più scandaloso dell’antichità. In verità Teodora. Ascesa di una imperatrice, di Paolo Cesaretti (Mondadori, 339 pagg.. 18,08 €), tenta di riabilitare la consorte di Giustiniano come donna, oltreché come donna di potere, e di negare attendibilità storica alla sua carriera di pornostar testimoniata invece dallo storico bizantino Procopio di Cesarea, contemporaneo di Teodora (nata attorno al 500 e morta nel 548) e ben introdotto alla sua corte. Eppure Cesaretti ha tradotto senza apparente imbarazzo le pagine degli Anekdnta (carte segrete) di Procopio, che raccontano le performance erotiche della futura imperatrice.
Già prima dello sviluppo, Teodora seguì la carriera di cortigiana intrapresa dalla sorella maggiore, ma non essendo ancora formata per “unirsi agli uomini come una donna” si vestiva come uno schiavetto e si dava a sconci accoppiamenti da maschio nei lupanari.
Con la crescita si manifestò in lei un certo sadomasochismo, unito a crescente spudoratezza;”Non esitava ad acconsentire alle pratiche più svergo­gnate, e anche se veniva presa a pugni e a schiaf­fi se la rideva della grossa, si spogliata e mostra­va nudo a chicchessia il davanti e il didietro". Spesso, continua Procopio, si presentava a cena "con dieci giovanotti e anche di più, tutti nel pie­no delle forze e dediti al mestiere del sesso; tra­scorreva l'intera notte a letto con tutti i com­mensali, e quando erano giunti tutti allo stremo passava ai servitori, che potevano essere una trentina, e si accoppiava con ciascuno di loro. Al culmine della carriera, "lavorando”, scrive lo storico, "con ben tre orifizi, rimproverava stizzita alla natura di non avere provveduto il suo seno di un'apertura più ampia, così da poter esco­gitare anche in tale sede un'altra forma di copula". Epico rimase un suo nu­mero porno-zoofilo: sul palcoscenico, sotto gli oc­chi del pubblico più popo­lare, si spogliava e una volta rimasta nuda, por­tando intorno al sesso so­lo un perizoma, si stende­va al suolo. Supina. "Certi schiavi addetti a quell'in­combenza le gettavano al­lora chicchi d’orzo sul pu­be, e oche opportunamen­te ammaestrate li becca­vano a uno a uno".
Nel suo libro, che ha vinto l'edizione 2002 del Pre­mio Grinzane Cavour per la saggisti­ca, Cesaretti si adopera scrupolosamente a negare che la futura grande imperatrice di Bisanzio ab­bia fatto, in origine, la prostituta. Perché? Per­ché nell'ottica borghese moderna - dall'Ottocen­to di Sardou in poi - un comportamento sessua­le femminile promiscuo, ai limiti della ninfoma­nia, viene ritenuto incompatibile con la razionalità necessaria a esercitare il potere.
Eppure, quante donne nella storia, da Cleo­patra a Caterina di Russia, hanno usato la più ef­ficace alma lasciata loro dalia società maschile, la seduzione sessuale, per la loro ascesa? Forse che, al di là del giudizio morale che ciascuno può emettere, il sesso esclude il cervello? Forse che entrare nel Palazzo della politica dalla porta della camera da ietto, come fece Evita Perón, non richiede razionalità, forza di carattere, sen­so della strategia?


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