Il vero Socrate? E' nelle Nuvole
Nuova traduzione della Commedia di Aristofane: ecco lo spirito dei dialoghi platonici
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Durante la prima rappresentazione delle Nuvole di Aristofane, nelle Dionisie del 423 a.C, Socrate rimase per tutto il tempo in piedi. Il significato di questo gesto, come di quasi ogni altro comportamento antico dopo millenarie deformazioni storiche, è per noi incomprensibile. Era un gesto polemico, di sfida? Forse Socrate voleva rendere visibile il legame della commedia con l'uditorio, la continuità tra scena e platea? Poteva essere, al contrario, un modo per sottolineare la sua alienità dal filosofo irriso dalla commedia? Forse era un segno di agitata, paterna partecipazione alla prova di un allievo. O forse il suo gesto non può spiegarsi senza conoscere i retroscena politici di quell'anno di tregua fra Atene e Sparta, ed è destinato a rimanere inesplicabile. Secondo Eliano, un filologo dell'età imperiale certo influenzato nel suo giudizio dal futuro sviluppo dei fatti, l'alzarsi di Socrate in piedi fu segno di disprezzo «per la commedia e per gli ateniesi». Secondo Dario Del Corno, traduttore della nuova edizione delle Nuvole curata da Giulio Guidorizzi per la Fondazione Valla (Mondadori), fu al contrario un segno di partecipazione allo scherzo: come se Socrate volesse assumere fisicamente su di sé anche il suo grottesco doppio prestato alla scena, il filosofo sospeso nella cesta a mezz'aria fra cielo e terra, dove vagano le nuvole, pomposamente denominata pensatoio, che svolge deliranti indagini sulla struttura dell'universo, misura il salto delle pulci, fa prevalere il Discorso Debole su quello Forte, seguendo il relativismo etico dei sofisti, ed escogita ogni sorta di fraudolente stramberie per traviare a pagamento gli ingenui concittadini e farli diventare tutti, catastroficamente, intellettuali. «Se aspiri al massimo della sapienza, se hai memoria e giudizio, se sai tenerti lontano da pranzi, palestre e altre frivolezze, se consideri che il massimo traguardo per l'uomo di qualità è vincere col pensiero e con le guerre della lingua, quanto sarai felice tra gli Ateniesi!», è l'ironica apostrofe che rivolgono al parvenu Strepsiade, aspirante intellettuale, i ventiquattro coreuti, caricatura del coro delle tragedie, che lentamente sfilano in scena travestiti da donne, a loro volta abbigliate da nuvole: parodia di quelle entità evanescenti e sospese, sottili e inconsistenti come il fumo, che emergono dalle speculazioni dell'idiota-sapiente Socrate. Che tra la filosofia e la satira vi sia sempre stata una stretta parentela, che l'esercizio del pensiero sia inseparabile da quello dell'ironia e della dissacrazione, è un sospetto valido in ogni luogo e tempo, ma mai tanto valido quanto per Atene negli anni della guerra del Peloponneso, quando Tucidide narrava la tragedia della politica, Euripide metteva in scena i conflitti umani e la polis era divenuta teatro del pensiero dell'Occidente. Socrate, che non senza scandalo monopolizzava allora l'opinione pubblica, che l'oracolo di Delfi aveva definito il più sapiente di tutti gli uomini, aveva del satiro proprio l'aspetto: il suo viso era largo e quasi caricaturale, i suoi occhi così sporgenti che sembrava potesse vedere, raccontavano gli allievi, anche di lato. Nei suoi discorsi lo spirito di contraddizione e l'ironia erano essenziali: in greco, del resto, la parola eironia designava in senso tecnico il tipo di argomentazione che Socrate aveva inventato. Temendo il suo implacabile anticonformismo gli ateniesi finirono, com'è noto, per condannarlo a morte. Anche di questa Socrate si prese gioco, raccontando al costernato allievo Fedone una favola notturna sulla sopravvivenza ultraterrena dell'anima, che avrebbe dato luogo a infiniti equivoci, proprio perché non tutti, specie dopo la sua tragica morte, ne compresero l'ironia: vi fu chi, lontano dallo spirito del circolo ateniese, commise l'errore di prenderla troppo sul serio e la mescolò alla religione. Ma gli allievi sapevano che il maestro spesso scherzava. Il suo insegnamento metteva in dubbio perfino il valore dell'insegnare: chiunque credesse di sapere era ignorante, per definizione. Il circolo contava soggetti molto diversi: non solo apprendisti filosofi come il giovane Platone o il futuro storico Senofonte, che avrebbero tentato di dare alle conversazioni di Socrate una veste scritta, ma anche un politico come Alcibiade e un drammaturgo come Aristofane. Al giovane Aristofane le Nuvole parvero la migliore commedia che avesse mai scritto: ritenne sempre un imperdonabile errore il verdetto della giuria delle Dionisie, che assegnò alla pièce socratica solo il terzo posto, dando il primo alla Fiasca di Cratino, un'opera che non ci è stata tramandata, a riprova di quanto siano fallaci, alla lunga, i giudizi delle giurie concorsuali. Ma i giurati, per poco lungimiranti che fossero, dovevano avere colto che le Nuvole non appartenevano del tutto al genere della commedia: in bilico tra filosofia e satira, erano effettivamente una commedia mancata ed esprimevano fedeltà all'insegnamento eversivo di Socrate. Al centro dell'agone comico il duello fra Discorso Forte (Kreitton) e Discorso Debole (Hetton) culminava in un beffardo trionfo del trasformismo, bestia diffusa in quegli anni di dura politica: il Discorso Forte, ammessa la propria sconfitta, disertava e passava alla parte contraria. A dimostrazione che non fu mai un denigratore di Socrate, Aristofane fu ricompensato da Platone, pochi anni dopo la sua morte, col fantastico compito che gli assegnò nel Simposio: immaginare gli uomini primordiali in forma di sfera, enunciare il surreale e malinconico mito di Eros. Il discorso di Aristofane nel Simposio, così come le sue commedie e le Nuvole prima di tutto, servono a capire il vero spirito dei dialoghi di Platone: i diari di un ambiente irradiato, nella tragedia della politica, dalla leggerezza della filosofia. Bisogna leggere commedie e dialoghi, filosofia e satira, esattamente allo stesso modo: trasportandosi quanto più possibile al di qua dell'alone serioso sparso sul pensiero platonico dal drammatico neoplatonismo tardoantico e dalla sua cupa fortuna nel Medioevo cristiano.