Il mondo classico. Storia epica di Grecia e di Roma
Una epica galoppata dell’oxfordiano Robin Lane Fox, che sceglie per guida Adriano, il più snob e disincantato degli imperatori
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Al suo Alessandro Magno si era ispirato il film di Stone. Durante le riprese Robin Lane Fox aveva fatto non solo da consulente ma anche da comparsa a cavallo nelle scene di battaglia. Lo avevano criticato, e se già prima era considerato il più eccentrico storico del mondo antico, era diventato anche il più discusso. La risposta del diabolico oxfordiano alla perplessità del mondo accademico è ora un libro provocatorio e liberatorio, di quelli che pochi si possono permettere: una vera e propria galoppata (“storia epica”, recita il sottotitolo) dall’uno all’altro capo del mondo antico, dall’età micenea al declino dell’impero romano passando per Pericle e Alessandro, caracollando da Cesare al vessatissimo tema della cristianizzazione dell’aristocrazia latina.
Il tutto en travesti: il cavaliere-narratore assume, per esporre il suo punto di vista insieme leggero e serissimo sull’antichità, la maschera di un personaggio della fine del mondo antico, peraltro già indossata dalla letteratura del 900: quella di Adriano. Fin dall’inizio dichiara di voler trattare gli argomenti che avrebbero interessato il più snob e disincantato degli imperatori; percorre l'impero con lui; fa collezione di spunti come il suo alter ego fece con i monumenti di Villa Adriana. La struttura circolare - ad Adriano sono dedicati il primo e l'ultimo capitolo - è studiata con la semplicità di una sceneggiatura. Ad esempio, è il racconto della visita dell’imperatore all’oracolo di Delfi per interrogarlo sull’identità di Omero ad aprire il primo capitolo propriamente storico, sull’epica.
E’ un collezionismo, quello di Lane Fox, di conversation pieces più che di problemi eruditi. Dagli aristocratici greci arcaici e dal loro concetto di “emulazione”, non da una generica “democrazia greca”, ci arrivano l'oratoria, lo sport e anche una certa concezione dell'amore. I greci sono soprattutto i “primi rivoluzionari”. La società spartana, la prima ad avere un’istruzione obbligatoria per tutti, è stata misconosciuta e mistificata al punto che si può parlare di un “segreto” di Sparta. E’ incalcolabile l’importanza dei persiani: senza l’epocale decisione di Ciro di accogliere le suppliche degli ebrei e rimandarli in Giudea “‘Dio’ sarebbe rimasto il culto di una minoranza”.
Sulle orme di Benjamin Constant, Lane Fox elargisce ripetutamente al lettore la propria opinione sulla libertà degli antichi comparata a quella dei moderni. Libertà non è sinonimo di democrazia; già con la guerra del Peloponneso si abusa del concetto; con i romani, “poliziotti del Mediterraneo” a partire dalla seconda guerra punica, l’esportazione della libertà - come ha meno rapsodicamente illustrato Luciano Canfora - è solo un pretesto. Identico abuso del concetto durante le guerre civili della Roma repubblicana. La libertà “vera” è perduta definitivamente con l'assassinio di Cesare: nel capitolo relativo, intitolato appunto “La libertà tradita”, la testa mozzata di Cicerone campeggia come un sinistro simbolo.
Nei capitoli su Filippo e Alessandro la brillantezza dello storico tocca naturalmente il vertice e sfiora l’attualità. “Non si era mai avuta una diplomazia tanto intensa quanto pretestuosa”, scrive dei fitti e fittizi scambi diplomatici tra Filippo e Atene, con chiara allusione al presente. La monarchia macedone peraltro sopravvive più a lungo della democrazia ateniese, e dal confronto implicito con la figura opaca di Pericle è il Macedone a uscire vincitore.
Quanto al figlio Alessandro, l’informazione più affascinante è forse quella sulla sua morte a Babilonia. Un caso straordinario ci ha conservato la tavoletta in cui uno scriba, impegnato a vergare il resoconto giornaliero dei cieli, annota, riguardo al 10 giugno 323: “Il re è morto. Nuvole”. Quasi un presagio del grande temporale imminente.
Incantevoli le pagine sulle grandi metropoli ellenistiche, come Alessandria, e soprattutto sulla diffusione della cultura greca in India. Aggiungiamo che gli indologi occidentali concordano oggi nel ritenere che il primo teatro sanscrito si sviluppi per influsso delle commedie menandree, arrivate sulle sponde dell'Indo attraverso la Battriana, e da Lane Fox definite “sitcom”.
Gli argomenti di conversazione si moltiplicano man mano che la storia avanza. La nascita della nozione di “guerra santa” si deve ai Maccabei ribelli contro Antioco IV. Nel paragrafo di fantastoria che conclude la lotta tra Ottaviano e Antonio, Lane Fox spiega che il secondo, con le sue follie e il suo rozzo vitalismo, sarebbe stato sicuramente un imperatore più dinamico di Augusto, così mesto, perbenista, plumbeo. Ci avrebbe guadagnato anche la letteratura: con il “nuovo Dioniso” sul trono, Orazio non sarebbe stato costretto a scrivere quei deprimenti sermoni patriottici e Ovidio non sarebbe certo stato esiliato a Tomi.
Di qui in poi l’argomento portante della storia imperiale è il rapporto tra pagani e cristiani, altro cavallo di battaglia di Lane Fox. Nel capitolo dedicato al confronto tra il sapiente e raffinato way of life di Plinio il Giovane e i primitivi esordi del cristianesimo, lo storico avanza un argomento disarmante: la nuova religione ebbe successo anche presso i ricchi perché erano annoiati, soprattutto le donne. Nel finale del libro torna Adriano: quando mai avrebbe immaginato che il suo mondo sarebbe stato capovolto dalla “potente e inedita riaffermazione dei principi di libertà e giustizia” sbocciata proprio dalla nova superstitio?