Prendiamo esempio da Ipazia, filosofa libera e controcorrente
Articolo disponibile in PDF
Università degli Studi di Milano-Bicocca, consegna dei diplomi ai nuovi 154 neodottori di ricerca. Oltre al rettore Marcello Fontanesi e ai docenti togati, come prescrive la cerimonia, una pacifica professoressa che si dilettava di astronomia e di aritmetica nel V secolo dopo Cristo, anche filosofa esperta di dottrina politica, si aggiunge a ricordare al giovane pubblico l’unica virtù legittimante lo status di chi sembra aver superato l’ignoranza: saper esercitare il dubbio. Ipazia, scienziata riscoperta recentemente persino al cinema, si configura nella lectio di Silvia Ronchey, che a lungo l’ha studiata, e viene a rivelarne il vero volto, anche a rischio di spogliarla. Via le vesti improbabili che varie scuole di pensiero non hanno mai smesso di imbastirle addosso: «Non una criptocristiana, non una protofemminista, non una scienziata perseguitata dalla Chiesa per le sue scoperte astronomiche. Nulla sappiamo delle teorie di colei che fu figlia del grande matematico Teone, e che si vorrebbe anticipatrice del sistema copernicano. Crederla Galileo in gonnella è uno stereotipo illuminista». Cavallo di battaglia dell’anticlericalismo di Voltaire, la ghiotta vicenda della donna «agnello sacrificale» dell’ultimo paganesimo, assassinata dai monaci cristiani parabolani su mandato del vescovo Cirillo. E non è casuale la sua nuova popolarità. Il film «Agorà», Rachel Weisz nel ruolo di Ipazia, distribuito con un certo ritardo in Italia, nel 2010, sembra girato sull’onda delle polemiche sollevate dal discorso di papa Ratzinger all’Università di Ratisbona, nel 2006. Benedetto XVI, affermando la necessità d’interrogarsi su Dio per mezzo della ragione, fa una citazione sulla direttiva di Maometto a diffondere la fede per mezzo della spada. Violente le reazioni nel mondo islamico. E il regista Alejandro Amenábar racconta che, i talebani, anche i cattolici li hanno avuti. Si fa sempre storia del presente, diceva Croce. Ma ancor prima, Tucidide spiegava che lo studio del passato consente d’individuare il male del presente, e fare una prognosi per il futuro. «I neo dottori di ricerca facciano tesoro del metodo della storia e della filologia, scienze morbide», Ronchey indica nella liceità della critica applicata anche al testo più sacro, nel dubbio che non si possegga la verità, nella tolleranza o capacità di capire gli altri, gli elementi del vero straordinario carisma della cattedratica all’Accademia platonica di Alessandria, la più grande università del tempo: «Ascoltata dai suoi studenti, dall’aristocrazia e dal prefetto romano della provincia d’Egitto. Non aveva nulla contro i cristiani. Un suo allievo, Sinesio di Cirene, diventerà vescovo e burocrate della classe dirigente (necessariamente cristiana, quando il cristianesimo diventa religione di Stato). Ipazia include tutte le religioni nel suo insegnamento, tutte le scienze unite in un’unica disciplina di vita, etica e politica. E in faccia ai potenti rivendica la parresia, il diritto di dire la verità, senza reticenze, con eleganza e compostezza. Il suo mettersi di traverso, non prendere partito per gli uni o per gli altri, ostacola l’ingerenza della giovane Chiesa nell’establishment pagano. Perciò sarà eliminata». Ma la sua fine non è la fine della cultura ellenistica. Nel V secolo incomincia il perfezionamento dell’impero romano nel bizantinismo, che dominerà per secoli l’ecumene mediterraneo. Poi, con la caduta di Bisanzio, e l’emigrazione di uomini e di libri a Occidente, anche con l’approdo a Venezia, alla Biblioteca Marciana, del commento critico di Teone, padre di Ipazia, all’astronomia tolemaica, incomincerà il Rinascimento italiano.