Silvia Ronchey

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Recensioni

Silvia Ronchey, citare con stile

30/05/2009 Alessandro Zaccuri

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Avvenire

« Questo non è volare: questo è cadere con stile». Era la battuta chiave del Toy Story o­riginario, anno 1995. Ed era, in realtà, una lezione di critica lettera­ria sotto mentite spoglie. All'inizio della storia, infatti, tocca a Woody, petulante cowboy in miniatura, ac­cusare l'astronauta giocattolo Buzz Lightyear di sfruttare la forza di gra­vità per le sue picchiate e giravolte.
Alla fine del film è lo stesso Buzz a impossessarsi dell'interpretazione, se non che, nel medesimo momen­to in cui ammette di 'cadere con stile', il balocco sta effettivamente volando. A fare la differenza è la consapevolezza, l'accettazione del­la realtà, la capacità di trasformare in risorsa – lo 'stile', appunto – il li­mite imposto dalla finzione. Qual­cosa di simile si verifica, con le do­vute differenze, ne Il guscio della tartaruga, il nuovo e come sempre eruditissimo libro di Silvia Ronchey. Che è un catalogo di «vite più che vere» di grandi figure del passato non necessariamente remoto (si ar­riva fino a Stevenson, Warburg, Bor­ges), ma è anche un gioco, un attua­lissimo game.

Ci si collega al sito della casa editrice (http://home.edizioninottetempo.it /), si risponde a qualche domanda e, se non si fanno errori, ci si trova in possesso dell'intero regesto di fonti alle quali l'autrice ha attinto per comporre, scaglia su scaglia, l'e­legante carapace del testo. Un me­todo che, qualche anno fa, Silvia Ronchey aveva sperimentato pub­blicando quello che oggi è il raccon­to conclusivo della raccolta, Asínen te, nel quale un impercettibile ac­cenno tratto dall'Iliade si dilata fino a comporre un'immaginaria biogra­fia di Omero. Ma è Il re di Asine, una poesia del premio Nobel Ghiorgios Seferis, aveva fatto notare un letto­re: non sarà che la scrittrice sta co­piando? No, stava citando con stile, proprio come accade in ogni pagina del Guscio della tartaruga. Bizanti­nista, autrice tra l'altro di un'impor­tante decifrazione dell'urbinate Fla­gellazione di Cristo ( L'enigma di Piero, Rizzoli, 2006), Silvia Ronchey è attratta dal dettaglio anche minimo e dalla coincidenza apparentemente fortuita. Disposte in ordine alfabeti­co, le sue microbiografie sfruttano spesso la suggestione dell'accosta­mento casuale, in base al quale la vi­ta brevis di Platone precede quelle del dotto esegeta Gemisto Pletone e del discepolo e perfezionatore Ploti­no. Ad aprire la serie è Agostino, au­tore forse più rispettato che amato, considerata la simpatia con cui Silvia Ronchey guarda ad altre, diverse e­sperienze del mondo antico: il co­smografo Manilio, lo stoico Marco Aurelio, il neopitagorico Marziano Capella… Molto rappresentato il millennio bizantino, non di rado at­traverso scorci di sofisticato sincre­tismo (si pensi alla lettura dell'Inno  acatisto di Sergio Patriarca). Ma il vero pezzo di bravura, forse, è il mo­saico su Teresa d'Avila, interamente realizzato adoperando frammenti di una sola opera, Il castello interiore.
Si può volare molto in alto, quando si è capaci di citare con stile.


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