Terza via (fallita) di Luca Notaras
"Entre la croix et le croissant" di Paltin Nottara
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E’ raro che scritti cruciali sui grandi della storia si debbano ai loro discendenti. Nella nostra tradizione occidentale, nutrita del mito della nobiltà del sangue, può accadere che il prestigio di un grande avo venga riesumato da un pronipote a distanza di secoli per mero narcisismo araldico e con nessun esito storiografico. Solo a corto raggio generazionale si conserva a volte una memorialistica famigliare utile agli storici, perpetuata da figli o nipoti, e anche questa in genere serve ai posteri più per i dettagli minuti che per una rigorosa ricostruzione storica di fondo — con poche eccezioni, la più rilevante delle quali è l’Alessiade di Anna Comnena, la porfirogenita che dopo essere stata esclusa dal potere per volontà del basileus suo padre ne illustrò e documentò con sagacia inesorabile la biografia politica.
All’opera storica di Anna Comnena e alla mentalità bizantina, che riconosceva un eventuale lignaggio aristocratico alle capacità e all’ingegno ma non al sangue, si può forse accostare a distanza di secoli l’operazione di puntiglioso recupero storiografico, non genealogico né agiografico, anzi senza riscatto, che dà vita al libro di uno studioso rumeno naturalizzato francese, Paltin Nottara: Entre la croix et le croissant (L’Harmattan, 410 pp., 40 euro). Al centro della ricerca, frutto di una lunga investigazione negli archivi pubblici e privati dell’est europeo oltre che in quelli occidentali, è l’enigmatica figura dell’avo quattrocentesco Luca Notaras, grande e sfortunato statista, ultimo primo ministro dell’impero bizantino alla vigilia della caduta del 1453, all’indomani della quale fu decapitato da Mehmet II detto il Conquistatore consegnando alla censura dei vincitori e dei vinti il progetto politico di cui era stato promotore, finanziatore, protagonista e poi vittima.
“Meglio il turbante turco della tiara latina” era la formula apparentemente cinica di questo grande Realpolitiker, che in realtà riprendeva il refrain di una canzone dei marinai di Costantinopoli e rispecchiava il sentimento spontaneo della maggioranza bizantina durante l’ultimo e per più versi splendido secolo dell’impero. Un sentimento di apertura ai turchi che rifletteva l’ibridazione avvenuta da secoli, gli interessi comuni, l’alleanza tra cittadini e classi dirigenti trasversale alle differenze etniche o religiose. Quel punto di vista allora dominante fu poi tacitato dal precipitare degli eventi storici, che lasciò la parola alla propaganda dei più forti: il papato, appunto, e Venezia.
Diretta responsabile della caduta di Bisanzio, quest’ultima era anche la principale beneficiaria della catastrofe degli interessi genovesi nel Levante, basati nella fiorente colonia di Pera, che si trovava proprio di fronte a Costantinopoli ed era legata alla sua sopravvivenza da inviolabili vincoli finanziari oltre che dall’immensa catena di ferro che solcava il Corno d’Oro tra l’una e l’altra sponda a baluardo delle due città.
Luca Notaras, ricchissimo, influentissimo, a sua volta legato da capitali e affari all’élite genovese insediata a Pera, dove lui stesso manteneva un sontuoso palazzo, aveva cercato di sottrarre l’impero alla stretta papato-Venezia, che considerava a torto o a ragione la vera minaccia, e comunque al vero conflitto, che ne avrebbe decretato la fine: non scontro ‘di civiltà’ tra cristiani e islamici, bizantini e turchi, ma guerra commerciale tra veneziani e genovesi e braccio di ferro confessionale tra papato cattolico e clero ortodosso.
Come spesso accade nella storia alle terze vie, la strategia trasversale, moderata e antideologica di Luca Notaras fallì per circostanze che non ebbero a che fare né con la potenza militare ottomana né con la provvidenza divina, in seguito invocate sia dalla storia ufficiale turca sia dalla propaganda occidentale, preoccupata di brandire la caduta di Costantinopoli come prova di un’effettiva minaccia islamica su Roma. La sconfitta bizantina, che ebbe luogo negli ultimi istanti della battaglia, fu determinata in realtà dal fuoco amico che atterrò il comandante in capo delle truppe di terra, non a caso un genovese. Oltre ad assicurare la città all’esercito del giovane Mehmet, lo spionaggio occidentale consegnò così alla morte il gran visir Halil Pas^a, potente leader dei moderati ottomani, e insieme a lui il suo vis-à-vis bizantino Luca Notaras. La decapitazione dei due statisti vanamente alleati e dei loro collaboratori ha lasciato per mezzo millennio nell’ombra la verità delle ultime concertazioni politiche sull’istmo tra Asia e Europa. Oggi il libro di Paltin Nottara ne offre una documentazione preziosa, fino ad ora ampiamente ignorata e in parte completamente inedita, destinata a riaprire la riflessione degli storici.
Paltin Nottara "Entre la croix et le croissant", L’Harmattan, 410 pp., 40 euro)