Silvia Ronchey

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Noi e gli antichi

Sorpresa: Narciso aveva un gemello

Un volume curato da Maurizio Bettini esamina un tema centrale per la cultura antica: quello dello sdoppiamento

13/08/1991 Silvia Ronchey

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La Repubblica

Se vi sono ancora adolescenti che si innamora­no del personaggio di un film o di una soap ope­ra televisiva, e pare ve ne siano, ebbene costo­ro non sanno di appartenere a una categoria antichissima: quella degli «innamorati di un'immagi­ne», tra cui è anche Narciso, l'adolescente che curvo sullo specchio della fontana scorge l’immagine rifles­sa del proprio volto ed è preso da un amore vano, ir­realizzabile e resistente a ogni gesto. Del resto, gli an­tropologi leggono quello di Narciso anche come un mito del fascinum, del potere malefico di un «occhio» che guardandosi s'ipnotizza e si distrugge: una possi­bile allegoria, appunto, della televisione.
Al mito di Narciso sono dedicati due saggi del volu­me La maschera, il doppio e il ritratto, curato da Mau­rizio Bettini per l'editore Laterza (pagg. 180 lire 32.000) e rivolto a una costellazione tematica centra­le non solo per la cultura antica, quella dell'immagi­ne e degli sdoppiamenti e varianti di essa: effigie, ma­schera, larva, ombra, psychè. Un volume vario e affa­scinante, che raccoglie i contributi di più studiosi - tra cui Jean-Pierre Vernant, uno dei padri dell'antro­pologia storica del mondo antico - ad un colloquio tenutosi due anni fa, nell'ambito degli incontri fra an­tichisti e antropologi che organizza l'associazione «Antropologia e Mondo Antico» dell'Università di Siena.
Forse non tutti sanno chi furono Biblide e Cauno, ma si può osservare che i personaggi della soap oper, ad esempio, replicano il tipo «isiaco-osirideo» dei ge­melli amanti se non altro nella reciproca omologia somatica: stesso make-up, stessi zigomi. Come rileva il saggio su Narciso e le immagini gemelle, a firma del curatore del volume, quello di Narciso è anche un mito dello sdoppiamento del sé, la parte di un fantasti­co racconto gemellare che da Pallade-Atena a RomoIo-Remo attraversa le radici della nostra psicologia collettiva. Nel gemello, in cui si esprime la fragilità dell’io, vive anche un illusorio amante: è affine a quel­la data dal ventre materno l'oscura parentela amoro­sa. Nei poeti dell età di Augusto il rapporto di coppia e di comunanza fra amanti non legittimati dal vincolo coniugale - un rapporto quindi non sancito né defini­to socialmente, sovversivo nel fondo come la stessa poesia elegiaca - trova pertanto una sua definizione sostitutiva nel legame di parentela per gerarchia con­tiguo, quello fratello e sorella. Il linguaggio amoroso latino adotta questo legame, sublimandolo mi­sticamente come fanno gli elegiaci o manipolandolo ironicamente come il Satyricon di Petronio. Tale sconcertante oscillazione, documentata negli esempi di Bettini, è all’origine di un’analoga ambiguità nel linguaggio dei primi cristiani, che va formandosi pro­prio in quello stesso periodo: l'ambiguità tra «amore» e «fratellanza», che scandalizzerà l'opinione comune laica dell'epoca nell'equivoco di una sospetta promi­scuità incestuosa tra gii iniziati all'agape di Cristo.
Nello sviscerare implicazioni e complicanze del mito di Narciso, Bettini è fedele al medesimo intellettuale gioco di rispecchiamenti che attribuisce al mag­giore interprete della vicenda, Ovidio. L'autore stes­so ha, nello scrivere, un'allure di narratore moderno oltreché di studioso: le sue pagine su Narciso possono anche leggersi come un racconto fantastico, pieno di deliberate ambiguità e rovesciamenti, cosi come ironia e amore per la letteratura.

 


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