Lazzaro e la visione di Yeats
Lettere da Bisanzio
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«Una cupola accesa dalla luce stellare o della luna disdegna / tutto ciò che è uomo, / tutte le mere complessità, / la furia e il fango delle vene umane». Sono gli ultimi versi della prima strofa di Byzantium di Yeats, il poeta che ha più celebrato Bisanzio in questo secolo, a cominciare dalle oscure, esoteriche, grandiose pagine «dettate» in A Vision. Ma neanche le due poesie bizantine di Yeats sono poi così chiare: attendono, in realtà di essere decifrate e interpretate.
La seconda strofa di Byzantium riprende cosi «Davanti a me fluttua un’immagine, uomo o ombra, / ombra più che uomo, più immagine che ombra; / perché la vorticante spola di Ade che svolge bende di mummia / può sdipanare il cammino dipanato;/ una bocca senza umidità né respiro / può convocare bocche irrespirate; / saluto il sovrumano; / lo chiamo morte-in-vita e vita-in-morte».
I call it death-in-life and life-in-death è un verso molto amato, molto ripetuto nel Novecento; ma tanto poco inteso, nell'insieme specifico delta poesia che lo fa nascere, quanto il successivo richiamo all’«uccello d’oro sbalzato a mano» della strofa seguente, che tornerà ancora e soprattutto nella seconda, famosissima poesia bizantina di Yeats, Sailing to Byzantìum.
Il fatto è che in entrambi i componimenti, così come in A Vision, bisogna tenere presente che la voce narrante è quella di un iniziato. Qui, in riva al Bosforo, sulla sfondo della cupola di Santa Sofia - la Divina Sapienza – accesa dalla luce dello zodiaco notturno, l’iniziato è assorto nella contemplazione di un simbolo, che gli si sta rivelando in forma di fantasma: l’immortalità dell'anima, l’equazione mistica- che in sé riassume tutta la civiltà ascetica di Bisanzio- per cui la vita, facendosi morte, trasforma la morte in vita; la possibilità orfico-pitagorica e poi platonico-cristiana, che il cammino dalla vita alla morte ammetta, almeno metaforicamente, due sensi. La strofa di Yeats rivela una tessitura di fonti filosofiche nascoste davvero bizantina. Il «vorticare» della spola di Ade è citazione di Repubblica 616c (il Fuso di Anànke, ossia della Necessità), un passo che Yeats riprenderà esplicitamente in His Bargain, poesia scritta solo un anno dopo Byzantium. L'anima «senza umidità», disseccata – dunque assimilabile a una mummia -proviene dal frammento 62 di Eraclito, che nell’opera di Yeats ricorre almeno undici volte. Ma al fondo dell’enigmatica immagine del cadavere bendato che in riva al Bosforo rivive, si sbenda e sbozzola come una farfalla (psiche, non dimentichiamo, in greco), si trova – come ha segnalato Brian Arkins in un articolo recentemente apparso sulla rivista belga «Byzantion» - un riferimento più specificamente cristiano: all'iconografia di Lazzaro, nei termini esatti in cui è illustrata in un libro ben noto a Yeats, la Byzantine Art and Archaeology di Dalton, in cui si sottolinea la verticalità del sepolcro, in cui la mummia sta in posizione eretta: la raffigurazione, nell'iconografia tarda, di una mano che prende a srotolare le bende; la rara e specificamente bizantina presenza di un’incarnazione di Ade.
L’immagine della mummia come «spola di Ade» è frutto del convergere di due elementi in uno spirito personificato, come scrive Arkins, e la geniale metamorfosi poetica fa sì che da un lato la mummia si disincarni del tutto, dall’altro lo sbendamento si riferisca non alla mummia, ma al processo di liberazione dell’anima della vita corporea - o almeno da una vita corporea - dopo la morte. Se Lazzro, del resto, è una figura di rilievo nell’opera teatrale Calvary di Yeats, in una delle criptiche note di A Vision (ed. Londra 1925, nota 1 della p. 187 ed. Londra 1962, p. 275) si ritrova esattamente la stessa miscela di referenze (al mito di Lazzaro e a Eraclito frammento 62) ed esattamente con lo stesso senso: «Gli opposti sono superati; lui (il Buon Samaritano) non ha più bisogno del suo Lazzaro (il corpo); non muoiono più l'uno la vita dell’altro, ma vivono l'uno dell’altro la morte».